Pare che il Capodanno abbia le sue origini in Mesopotamia, sin dai remoti giorni del II millennio a.C. I mesopotamici credevano che l’universo fosse nato dopo una violenta lotta fra il loro dio Marduk e la dea del caos Tiamat. La vittoria andò a Marduk, il quale, con la forza, impose l’ordine sul caos. Ogni anno la sua impresa era commemorata all’arrivo delle piogge portatrici di vita. Dato che il re rappresentava l’ordine, per circa 11 giorni egli si ritirava, e la popolazione ricreava letteralmente il caos bevendo, permettendo agli schiavi di insultare i padroni e commettendo atti immorali. Per quella particolare occasione, tutti gli dei babilonesi erano portati in città e partecipavano ad una solenne processione, per aiutare Marduk a vincere la battaglia contro Tiamat.
Le origini del Capodanno si perdono nella notte dei tempi: le prime notizie storiche ci provengono da fonti mesopotamiche, dalle quali sappiamo che assiri e babilonesi, presso i quali era in uso un calendario lunare, festeggiavano l’inizio del ciclo annuale, rispettivamente, con la luna nuova più vicina all’equinozio d’autunno e con la luna nuova più vicina all’equinozio di primavera.
La diversità di data d’inizio dell’anno nuovo la riscontriamo presso tutti i popoli antichi, i quali credettero opportuno regolarsi secondo le proprie tradizioni religiose e secondo le esigenze civili e militari. Egizi, fenici e persiani fecero coincidere il Capodanno con l’equinozio d’autunno (21 settembre), mentre i greci presero come riferimento, fino al 5° secolo a.C., il 21 dicembre, data che segna il solstizio d’inverno.
Per trovare l’inizio dell’anno al 1° gennaio bisogna attendere il 153 a.C.
Fino ad allora l’anno civile, a Roma, era cominciato con il 15 marzo: perché in quel giorno entravano in carica i consoli. Ma durante la guerra contro i celtiberi si pensò di modificare il calendario. Infatti i nuovi comandanti avevano bisogno di procedere alle leve in inverno per poi intraprendere le campagne di guerra in primavera.
Lo stesso fece Guglielmo il Conquistatore nell’11° secolo, abolendo così l’usanza anglosassone di principiare l’anno il 25 dicembre. Ma fu solamente una breve parentesi perché l’Inghilterra ben presto si adeguò al calendario cristiano che prevedeva il 25 marzo. Solo la riforma gregoriana, avvenuta nel 1582, stabili una volta per tutte che l’anno avesse inizio il 10 gennaio. Disposizione a cui tutta Europa man mano si adeguò.
Piccole credenze, usanze, superstizioni si intrecciano la notte di San Silvestro: arcaici riti, augurali, apotropaici, divinatori, funerari, in una notte di misteri, che vede spiriti maligni vagare per il mondo; e a loro si spara, a mezzanotte in punto, per allontanarli. E sempre a quell’ora si butta via, fuori di casa, tutto ciò che non serve, con la speranza che con le cose inutili si possa espellere anche il male.
La prima speranza che si affaccia alla mente di ogni essere umano è che l’anno nuovo sia migliore di quello vecchio. Ma la speranza non basta. Le forze del bene bisogna sapersele propiziare. Quindi tutto deve essere, secondo una tecnica che gli studiosi chiamano magia simpatica, improntato di allegria. È per questo che si brinda, si fanno e si ricevono auguri, si balla tra stelle filanti e coriandoli.
Inoltre, per far sì che l’anno entri nel verso giusto bisogna conoscere ciò che si può e non si può fare.
In Sicilia, non si possono lasciare lavori incompiuti.
Che il primo dell’anno influenzi tutti i giorni a venire lo si sa bene in Sicilia, dove si dice “cu è malatu a Capodannu è malatu tuttu l’annu”; per contro “cu è allegru a Capudannu è allegru tuttu l’annu“.
Anche i cibi posso influenzare negativamente il nostro futuro. In Sicilia è salutare che ci si guardi dal mangiare maccarruni, perché significherebbe “tuttu l’annu a rruźźuluni“. E’ augurale mangiar lenticchie che per la loro forma e colore ricordano le monete d’oro e, al suono delle campane di mezzanotte, ingoiare dodici chicchi d’uva: mangiarne significa quindi un anno pieno di abbondanza, soldi, gratificazioni economiche.
Mangiare melograno, magari con il proprio compagno o fidanzato o marito, è simbolo di devozione e prosperità: da qui deriva l’usanza del colore rosso, molto utilizzato per l’abbigliamento del cenone, unito all’usanza di indossare biancheria intima rossa, per compiacersi amore e fortuna
Nella tradizione di Capodanno, dopo che vi sarete svegliati, è quella di uscire di casa con dei soldi in tasca, perché è un auspicio per il buon inizio; e se incontrerete un anziano o un gobbo sarà veramente un anno fortunato, perché l’anziano è sinonimo di vita longeva, il gobbo di fortuna, ma in alcune parti d’Italia è abbastanza fortunato incrociare una persona del sesso opposto per avere un anno di fortuna (i conviventi sono esclusi, ovviamente).
Ho festeggiato sempre a casa (nostra o di amici) la fine dell’anno, ad eccezione di un paio di volte (in un locale di Milazzo): le sterminate nottate da mangiare e giocare a carte nella mia casa di campagna, le cene e le ballate dai miei amici di Taormina di trenta anni fa, le cene catanesi nell’inferno pirotecnico della Civita, le cene più recenti presso il bel palazzo nobiliare del compianto avv. Giulio Gentile Carrozza a Roccalumera e della moglie Paola (memorabile, anche se meno dell’intero cenone, la mia porchetta confezionata a Catania e arrivata tre ore dopo sulla tavola fumante e caldissima grazie a un sistema di mantenimento della temperatura di “derivazione militare”).
Non ci sono regole specifiche per il cenone-veglione di fine hanno: l’unica potrebbe essere quella comune a tutte le vigilie, che impone il rispetto del “magro”, in attesa del “meno magro” dell’indomani, quindi prevalenza di pesce.
Ed un tradizionale menù della vigilia di San Silvestro potrebbe prevedere:
Ma vediamo le ricette:
I carciofi alla villanella raffigurano, ancora una volta, un semplice e saporito piatto della cucina siciliana.
Lo stesso piatto si può realizzare in due versioni: la prima, usando come condimento semplicemente aglio e prezzemolo tritati, olio extravergine d’oliva, sale e pepe; la seconda, più ricca, è quella che vi descriviamo.
INGREDIENTI
8 carciofi, il succo di un limone, 1 mazzetto di prezzemolo, 2 spicchi d’aglio, 50 grammi di pangrattato, Sale e pepe q.b.
Qualche cucchiaio di pecorino o caciocavallo semi-stagionato grattugiato, 4 acciughe salate (pulite e dissalate), mezzo bicchiere d’acqua, mezzo bicchiere d’olio extravergine d’oliva.
PROCEDIMENTO
Procuratevi dei carciofi grossi ma teneri, pulirli, batterli sulle punte su un piano rigido in modo di allargare un poco le foglie, tagliare le punte con le spine ed eliminare le foglie dure. Allargare ancora le foglie e, con un coltello, eliminare il fieno interno, infine tagliare i gambi, in modo che i carciofi stiano in piedi e metterli in acqua acidulata con il succo di limone e gli stessi gambi,a cui è stato tolto il coriaceo esterno.
Preparare un trito con il prezzemolo e l’aglio, unendo acciughe salate tagliate a pezzetti, sale, pepe ed il formaggio.
Tostate del pangrattato e unite al trito, innaffiando il tutto con un po’ d’olio. Amalgamate bene e mettere da parte.
Sgocciolare i carciofi e imbottirli con il condimento preparato, pressandolo bene dentro i carciofi e adagiarli, in piedi, nella pentola dove avremo versato l’acqua, sufficiente a ricoprire fino a metà i carciofi, l’olio e aggiustato di sale e pepe.
Far cuocere, dopo il sibilo, per circa cinque o dieci minuti (dipende dalla qualità dei carciofi).
Incoperchiate il tegame e far cuocere, a fuoco moderato, per circa trenta minuti. Servire
Sciacquare 500 grammi di stoccafisso sotto l’acqua corrente, controllando tutti i giorni che non si rammolisca troppo: dovrebbero bastare un paio di giorni.
Quando è della consistenza giusta, tagliate a pezzi e sistematelo in una terrina.
Preparate il salmoriglio con il succo di limone, il prezzemolo tritato, l’olio, il sale, l’aglio ed il peperoncino tritati.
Il salmoriglio va incorporato 10 minuti prima di essere servito per evitare che fuoriesca l’acqua contenuto in esso ed evitare che diventi stopposo.
Ponete una padella su un fuoco di media intensità con l’olio e, appena questo sarà caldo, una cipolla affettata finemente, un gambo di sedano tritato, 50 grammi di olive verdi snocciolate e tagliate a pezzetti e una cucchiaiata di capperi ben lavati e strizzati.
Quando la cipolla avrà preso colore, unite 300 grammi di salsa di pomodoro fresco, mescolate e, dopo un paio di minuti 400 g di pesce spada in tranci tagliato a cubetti di uno o due centimetri per lato.
Salate leggermente, pepate e lasciate cuocere a fuoco basso per 30 minuti.
Tagliate due zucchine spinose (cayote) in “bastoncini” di circa 6 cm di lunghezza, immergetele nell’uovo che avrete sbattuto con una forchetta in un piatto fondo e poi infarinatele. Quindi fatele friggere in una padella piena di olio bollente facendo attenzione che l’olio le ricopra interamente.
Quando sarà ben dorato scolatele con un mestolo forato e adagiatele su un foglio di carta assorbente.
Imburrate una tortiera, ponete sul fondo uno strato di pasta di pane, cospargetela con il preparato di pesce e le zucchine spinose. Ricoprite ancora con pasta frolla chiudendo bene la pasta attorno al recipiente.
Fate cuocere l’impanata in forno già caldo a 160° C, lasciandovela per circa 45 minuti o comunque sino a quando la superficie della pasta non sarà ben dorata.
Per novellame, in siciliano ”nunnanta”, si intendono i pesci appena nati di diverse specie. Usualmente a Palermo si identifica con il novellame di sarde.
L’acquisto del novellame è ai limiti della legalità, in quanto la regolamentazione vigente sulla pesca ne vieta la cattura e la commercializzazione.
Il novellame è infatti un importante anello della catena biologica marina e come al solito la pesca massiccia e indiscriminata mette a repentaglio le sorti di alcune specie ittiche. Noto anche col nome di “Bianchetto” si presta per condimenti di primi piatti ed è ottimo nella versione in frittelle.
Nel nostro caso si tratta di novellame di sarde.
Lessate in abbondante acqua salata 400 grammi di spaghetti.
Nel frattempo soffriggete l’aglio in abbondante olio; eliminare l’aglio, unire qualche cucchiaio di acqua di pasta e, fuori dal fuoco, 400 grammi di neonata.
Mescolate accuratamente, unite abbondante prezzemolo tritato ed infine gli spaghetti cotti al dente.
Servite spolverando sulla pasta le noci triturate.
Il più famoso e pregiato pistacchio è quello di Bronte, caratteristico per il suo tronco e rami contorti, può raggiungere i 5-6 metri d’altezza, cresce sulle pendici dell’Etna ed in alcune zone delle province nissene ed agrigentine. Questi sono i soli luoghi italiani dove viene praticata la coltivazione del pistacchio. Dobbiamo anche aggiungere che Il pistacchio siciliano è di eccellente qualità ma, a causa degli alti costi di gestione, non riesce a reggere la concorrenza di quello asiatico.
Infine ricordiamo che, nella ricetta, il merluzzo può essere sostituito con un altro tipo di pesce a taglio o del pesce sfilettato (come per esempio il pesce spatola). Si possono usare anche i calamari che, oltre ad essere impanati esternamente (quindi non ripieni) di questo delizioso pan trito; ne viene messo un po’ all’interno, quindi si scuotono per far cadere l’eccesso e si cuociono sulla graticola.
Tritate grossolanamente 60 gr. di pistacchi di Bronte sbucciati.
Mischiate 120 grammi di al caciocavallo, al prezzemolo, le foglioline di timo, il pepe, il sale e mescolate accuratamente.
Passate ad olio le fette di 700 grammi merluzzo, impanarle nel pan grattato condito e disporle in una teglia da forno leggermente oliata, far cuocere in forno preriscaldato a 200° fino a quando il pesce non sarà tenero e ben cotto all’interno (girando delicatamente le fette una sola volta) e la panatura avrà assunto una colorazione dorata.
Mettete in un tegame 400 grammi di lenticchie, due spicchi d’aglio, prezzemolo, sale, 2 o 3 cucchiai d’olio, 4 o 5 cucchiai di passata di pomodoro.
Aggiungete subito le salsicce bucherellate con la forchetta.
Se volete un piatto più leggero le salsicce vanno sbollentate per 2 o 3 minuti.
Ricoprite con acqua, circa due dita sopra il livello delle lenticchie.
Cuocert con il coperchio a fuoco moderato per circa 30 o 40 minuti.
A metà cottura è consigliabile eliminare l’aglio.
Durante la cottura, se occorre, aggiungete un po’ d’acqua calda.
E’ un antichissimo dolce natalizio della Contea di Modica, dolce che può esser preparato utilizzando scorze d’arancia oppure, in alcune varianti, cedri, limoni, mandarini e mandaranci. È un dolce che si può consumare singolarmente oppure da utilizzare come decorazione per altri dolci.
Occorre sbollentare le scorze degli agrumi e lasciarle macerare per un giorno, cambiando l’acqua più volte. Le scorze vanno poi tagliate a strisce e sgocciolate.
A fuoco dolce occorre preparare lo sciroppo con un ugual peso di zucchero e quando comincia a caramellare si uniscono le scorze e, dopo cinque minuti, si rovescia tutto l’impasto su di una superficie piana unta di olio di mandorla.
Quando il dolce è raffreddato, lo si conserva in un barattolo da chiudere ermeticamente.
La leggenda narra di una vecchietta che si rifiutò di aggregarsi ai re Magi nel viaggio a Betlemme e poi
Menù di Sant’Antonio (17 gennaio) Normalmente è questo il giorno in cui si uccide il maiale. Infatti, dopo averlo acquistato
Il Carnevale si conclude il giorno precedente al mercoledì delle ceneri, che segna l’inizio della quaresima. Non esistono moltissimi studi