Menù di Carnevale dell’Alcantara

Logo del Gran Carnevale FrancavilleseIl Carnevale si conclude il giorno precedente al mercoledì delle ceneri, che segna l’inizio della quaresima.

Non esistono moltissimi studi sul Carnevale, essendo stato relegato a fenomeno locale e di poca rilevanza ed essendo stato letteralmente schiacciato dalle fantasmagoriche immagini brasiliane o veneziane.

Nella Valle Alcantara spiccava una volta il Gran Carnevale di Francavilla di Sicilia, in provincia di Messina, fatto di balli in maschera presso varie abitazioni e presso l’ex teatro comunale (oggi adibito a sala consiliare): si ballava “la quadriglia” comandata in un barbaro francese e in un dialetto ingentilito, che nessuno comprendeva, sicché la quadriglia si ballava per imitazione, dando luogo a grosse risate e a scene comiche: essa è entrata in uso in Italia agli inizi dell’800, di importazione francese, infatti il caposala impartisce gli ordini in francese.

Ma negli ultimi quarant’anni il ballo in maschera viene organizzato da Associazioni Culturali locali o da un apposito Comitato cittadino e viene tenuto lunga la via principale del paese ed ogni serata viene interessata anche dalla realizzazione di farse e giochi.

Nella serata finale in cui viene effettuata la sfilata funeraria di Carnevale, raffigurato da un grosso fantoccio di paglia vestito bizzarramente, dopo averlo fatto girare per tutto il paese e aver letto il suo testamento, col quale si denunziano tutte le malefatte compiute durante l’anno da varie persone, viene arso o distrutto tra la gioia e il chiasso dei presenti e successivamente viene bruciato.

Un saluto da Enzo Raneri


E adesso presentiamo il menù di carnevale.
La tradizione gastronomica prevedeva una serie di piatti a base di legumi e di maiale:

• A faviata du lardarolu
• Maccaruna ca sasizza e chi scucciddi du maiali
• Ravioli di ricotta fritti o Sciauni
(tipico dell’interno della Valle, ma in diversi modi anche di tutta la Sicilia)


A faviata du lardarolu

Ingredienti:
Faviata du lardarolu -- foto: Vincenzo Raneri– 1 kg di fave secche,
– 200 gr di lardo,
– 500 gr di salsiccia,
– 500 gr di cavolicelli,
– 200 gr di finocchietti selvatici,
– una cipolla tritata,
– un rametto di menta,
– pepe.

La sera prima si mettono metto a bagno un chilogrammo di fave secche ed il giorno dopo si sistemano in una pentola capiente, insieme a 200 gr di lardo, 500 gr di salsiccia, 500 gr di cavolicelli, 200 gr di finocchietti selvatici, una cipolla tritata, un rametto di menta ed un pizzico abbondante di pepe, e si fanno cuocere per circa un’ora a fuoco lento con il coperchio.

Viene servito con dadini di pane di casa indurito.


Maccaruna ca sasizza e chi scucciddi du maiali

Riportiamo il testo integrale, così come ci è arrivato da Vincenzo Raneri.

Maccaruna ca sasizza e chi scucciddi du maiali -- foto: Vincenzo Raneri Un giorno prima, faccio il ragù lasciandolo al fresco, ma non nel frigorifero per non far perdere parte del suo profumo.

Trito molto finemente 5 cipolle rosa (non di Tropea) e mezza testa d’aglio rosso e li metto in una coddara (calderone) messo sul fuoco, insieme a 200 gr di olio di oliva, 100 gr di sugna, sale e moltissimo pepe nero, dopo un paio di minuti, aggiungo 99 rocchi (caddozzi) di salsiccia di maiale selvatico (me lo fa scegliere la signora Filippa a 1000 metri s.l.m.) e tutta la pancetta dello stesso maiale selvatico, rigirandola di tanto in tanto ed incoperchiando;
quando le cipolle cominciano a colorirsi, tolgo il coperchio ed unisco mezzo litro di vino rosso di nerello mascalese e lascio evaporare a fiamma vivace, mescolando spesso e scoperchiato.

Dopo che il vino è evaporato, aggiungo, poco alla volta, passato di pomodoro diluito con un poco di acqua, finché tutta la carne sarà ricoperta dal fluido e, aggiunto altro pepe nero a volontà (per me molta) e rimesso il coperchio, abbasso la fiamma al minimo evitando assolutamente che il ragù bolla: così lascio cuocere per circa quattro ore, alimentando la legna poco alla volta e sorvegliando la salsa perché non si riduca troppo, ed aggiungendo se occorre acqua calda.

Alla fine si potrà godere della magnifica vista (ma soprattutto aroma) di un mare quasi marroncino da cui spiccano come degli isolotti di pezzi di maiale.

Pronti per inondare i maccheroni già cotti e cosparsi di abbondante ricotta salata (quella di pecora), posti in brevissima attesa nella madia di legno che mi ha lasciato mia nonna.

Il martedì grasso il rito della domenica si ripete.

Il dolce tipico è sempre a Sciuna di ricotta, la cui ricetta potrete ritrovare nel “menù greco“.