Menù degli Elimi (1000 a.C – 500 a.C.)
Tempio dorico di Segesta
Menù degli Elimi (1000 a.C – 500 a.C.)
L’origine degli Elimi è stata ed è, tuttora, una questione di difficile soluzione, seppure la maggioranza degli autori antichi, dai greci Tucidide, Licofrone, Apollodoro, Strabone, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco e Pausania ai latini Cicerone, Virgilio, Silio Italico, Efesto e Servio, convergono sull’origine anatolica degli Elimi.
Dopo la distruzione di Troia, avvenuta da parte dei Greci nel 1184 a.C., il principe troiano Elimo, figlio di Anchise e fratello di Enea, insieme ad Aceste e altri compagni, presero il mare e, superata la zona greca, trovarono riparo in Sicilia, nella zona del Crimiso.
Anche Enea, partito da Troia con una ventina di navi e oltre tremila uomini, fra cui iol suo amico Egesto, sbarcò nella zona dell’odierna Trapani.
Gli Elimi si insediarono per circa un millennio nella Sicilia occidentale ed ebbero come capitale politica Segesta: lentamente furono “ellenizzati”, tant’è che in questa città si sono preservati un grande, ma mai ultimato tempio dorico, ed un teatro adagiato in splendida posizione alla sommità del Monte Barbaro. Peraltro tantissime sono le testimonianze del perenne stato di guerra, riguardante problemi di confine, fra Segesta e la vicina colonia greca Selinunte.
L’emporium della città si trovava probabilmente in quello che oggi è il porto di Castellammare del Golfo o nelle vicinanze.
L’altra città più importante per gli Elimi era Iruka (Eryx per i Greci, ovvero l’odierna Erice), dato che era il centro religioso del popolo Elimo.
Il primo nucleo abitativo dovrebbe risalire alla fine del II millennio a.C.
Altre città famose furono Solunto (di cui oggi è rimasto solo il sito archeologico), Entella (l’odierna Contessa Entellina), Iaitias (che su uno promontorio dominava la odierna San Giuseppe Iato), Alicia (l’odierna Salemi). suo amico Egesto, sbarcò nella zona dell’odierna Trapani.
Degli Elimi si è autorevolmente occupato fra gli altri anche l’illustre storico Domenico Musti che, nella suo libro Storia Greca, ha scritto fra l’altro: «Al loro arrivo in Sicilia i Greci trovano già stanziate varie genti non greche, quale da più antica, quale da più recente data, quale per un’estensione maggiore, quale concentrata in una zona più ristretta. Davano all’isola il nome e la facies culturale preminente i Siculi e i Sicani, i primi attestati nella parte orientale e centro-meridionale, i secondi nella parte occidentale (…). Accanto a Siculi e Sicani, gli Elimi, con i loro centri di Segesta, Erice ed Entella (rapidamente oscizzata dal V secolo in poi), e i Fenici insediati a Solunto, Panormo e Mozia, nell’area nord-occidentale. Agli Elimi si attribuiva un’origine dai Troiani, nonché da Focesi che avevano partecipato alla guerra di Troia; certo essi presentano connessioni con civiltà orientali, in particolare con l’ambiente cipriota e fenicio o siriaco e microasiatico».
L’archeologo e storico Giuseppe Nenci, della Scuola Normale Superiore di Pisa, così si è espresso in merito in AA.VV. Gli Elimi, Trapani 1989 : «Gli Iapigi e gli Elimi, per la peculiarità delle aree in cui vissero, per la originalità delle loro culture, per i loro alfabeti presi da centri greci, per le loro lingue non decifrate, rappresentano le nuove frontiere della ricerca storica moderna per quanto attiene ai processi di trasformazione delle popolazioni indigene al contatto con la colonizzazione greca in Italia e nelle isole».
Dallo studio dei ritrovamenti di contenitori di terracotta e dei relativi contenuti, in genere si è cercato di risalire agli usi alimentari dei popoli: nel caso degli Elimi ciò è stato più difficile, per cui rimane più difficile “decifrare” piatti correlabili a quella civiltà, senza rifarsi agli usi attuali di quei luoghi.
Un possibile menù potrebbe essere il seguente:
- Panelle di fave
- Muffuletta imbottita
- Frogia
PANELLE DI FAVE
La frittura è un metodo diffuso in tutto il mondo e usato già nel 2500 a.C. in Egitto.
Ammollate 1 kg. di fave secche sbucciate, per una notte.
Il mattino dopo fate lessare in acqua con sale, una cipolla tagliata a fette ed alcune cimette di finocchietto selvatico.
Fate cuocere a lungo, per almeno un paio di ore, finché le fave si sfaldano.
Passate al setaccio e stendete il composto denso su una superficie di marmo oliata, con uno spessore uniforme di circa un centimetro.
Appena l’impasto è freddo, tagliate a strisce le «panelle» e friggete in olio bollente.
MUFFULETTA IMBOTTITA
Si tratta di caratteristica focaccia, a forma circolare, che secondo la tradizione locale viene solitamente degustata in prossimità della festività di San Martino.
Impastate con 500 grammi di acqua, un kg di farina di grano duro (rimacinata), 10 grammi di malto per panificazione, 40 grammi di lievito (va benne anche quello di birra) spezzettato e un cucchiaio di miele.
Appena l’impasto avrà formato la massa glutinica, aggiungete mezzo bicchiere d’olio poco per volta fino a completo assorbimento.
Quindi aggiungete 20 grammi di sale poco per volta e lavorate ancora per qualche minuto.
Formate una pagnotta, avendo cura di riportare l’impasto dai bordi verso la sua parte inferiore.
A questo punto riporlo in una ciotola infarinata, praticate una taglio a croce sulla parte superiore e mettere a lievitare per due ore in luogo tiepido ricoprendo con un grosso canovaccio.
Trascorso il tempo staccate pezzetti di pasta, arrotolarli con il palmo delle mani, sul piano di lavoro infarinato, in modo da formare dei panetti rotondi di circa 100 grammi. Spennellateli con poca acqua e depositateli su una teglia e rimettere a lievitare per una mezz’oretta sempre in luogo tiepido, ricoprendo con un grosso canovaccio.
A completamento della seconda lievitazione mettete in forno a 200° per 10/15 minuti e comunque fino a completa doratura della muffoletta.
Togliete dal forno e, prima di condirle, aspettate che raggiungano la temperatura ambiente.
Condite con caciocavallo semi stagionato grattugiato a fili, sarde salate (secondo i vostri gusti), olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b. origano.
FROGIA
Ingredienti per cinque persone:
5 uova;
600 gr. di ricotta di pecora, 400 gr. di pecorino fresco grattugiato, 200 gr. di mollica di pane grattugiato, 300 gr. di zucchero, un pizzico di cannella tritata, un pizzico di nepetella o menta tritata.
Ungere un contenitore e infornare l’impasto a 180 °C per 45 minuti circa.
Sfornare appena la frogia ha assunto un colore dorato.
Servire la frogia a fette, tiepida o fredda.