Donnalucata, in provincia di Ragusa, è una frazione marinara del comune di Scicli, da cui dista circa 8 km, che si sviluppa attorno ad un santuario e ad una torre costiera.
L’origine del nome Donnalucata deriva dalla sua antica sorgente, che il noto viaggiatore e cartografo arabo, nato a Ceuta (in Marocco) nel 1099 e morto in Sicilia nel 1165 circa), Abū ‘Abd Allāh Muhammad ibn Muhammad ibn ‘Abd Allah ibn Idrīs al-Siqillī (che significa il Siciliano, più semplicemente noto come Idrisi ovvero Edrisi ovvero El Edrisi ovvero Ibn Idris ovvero Hedrisi ovvero al-Idrīsī), scopri che sgorgava cinque volte al giorno, ad ore ben precise e corrispondenti alle ore delle preghiere musulmane e per questo motivo al Sultano Saladino disse di aver trovato“Ayn-Al-Awqat”, ovvero la fonte delle ore, che latinizzato divenne Donnalucata.
Si è ritenuto in passato di poter individuare detta fonte nelle “Ugghie” (sorgenti d’acqua dolce) sul lido di Micenci, anche se ormai non è più protetta dall’azione del mare ed ha perso le sue caratteristiche: è plausibile però che la fonte in questione sgorgasse tutto il giorno, ma che fosse visibile solo durante la bassa marea, al tramonto, e coincidente con l’ora della preghiera.
Donnalucata è divenuta recentemente più famosa per il fatto che vi sono state ambientate le scene della serie televisiva del Commissario Montalbano, l’ormai famoso personaggio dei libri dello scrittore siciliano Andrea Camilleri, che nei suoi libri scrive della località Vigata, in effetti inesistente.
Il mio primo ricordo di Donnalucata è legato ad una mia amica, che conobbi quando frequentavo l’Università e che non ho mai cessato di pensare che fosse stata la ragazza più bella mai conosciuta, per via dei suoi lineamenti, che erano una sintesi dei canoni stilistici della bellezza greca e della bellezza araba: da allora non l’ho più rivista e conservo questo soave ricordo.
Per il resto a Donnalucata mi sono recato di passaggio per motivi di lavoro, godendo dei bellissimi paesaggi costieri che vengono offerti.
Ma la notorietà di Donnalucata (almeno per me) è dovuta anche al fatto che nel mese di giugno si celebra ogni anno (anche se nel 2012 non è stato possibile farlo) la Sagra della Seppia, che nel 2013 dovrebbe raggiungere la sua XXI° edizione
Si tratta di un incontro gastronomico che coniuga tradizioni e cultura siciliana per tre giornate di festeggiamenti, con canti, giochi e balli tradizionali e degustazioni di piatti tipici a base di gustosissime seppie, pescate al largo di Donnalucata e cucinate in tanti modi diversi, principalmente in via Pirandello e sul lungomare prospiciente il piccolo porto della borgata.
La seppia (Sepia officinalis) è un mollusco cefalopode di forma ovale, allungato; il suo corpo è circondato interamente da una pinna che utilizza per muoversi e nuotare.
La seppia ha dieci tentacoli: di questi, due sono particolarmente lunghi e dotati di numerosissime ventose nella parte terminale e servono alla seppia per difendersi e riprodursi.
La seppia può raggiungere i 40 cm di lunghezza, ma in media non supera i 25 cm;
La seppia può variare il suo colore in un tempo brevissimo per mimetizzarsi col fondale marino: infatti la sua epidermide contiene pigmenti di vari colori (rosso, giallo, arancione, nero), collegati a dei muscoli, che variano l’espansione delle macchie permettendo così la variazione di colore.
Nel suo corpo è inclusa una conchiglia interna, detta “osso di seppia”, molto poroso ed impermeabile e quindi più leggero dell’acqua, che permette così alla seppia di galleggiare e che deve essere asportata spingendo la sacca con i pollici: mia nonna metteva questo osso incastrato fra due barre della gabbietta del canarino, affinchè quest’ultimo potesse affilarsi il becco.
Inoltre nalla seppia ci sono due vescichette, una gialla (nella femmina) e una nera, che in genere per il normale consumo della seppia vengono asportate, anche se quest’ultima (utilizzata in acqua dalla bestia quando si sente in pericolo e rilascia l’”inchiostro nero” al fine spaventare e confondere il nemico), spesso viene conservata per aggiungerla come ingrediente colorante naturale di alcune particolari preparazioni gastronomiche.
La seppia maschio si distingue dalla femmina anche per la presenza di una riga bianca lungo tutta la pinna.
Il tipo di seppia presente lungo le coste siciliane è la Sepia elegans ed il periodo migliore per la pesca è aprile, maggio e giugno, dato che essa risale dai fondali profondi, in cui trascorre l’inverno, per deporre le uova
Gli antichi romani allevavano la seppia in vasche ed Apicio, uno dei primi gourmet dell’antichità, la mangiava farcita con cervello lesso e uova.
Ma nelle strade di Donnalucata e soprattutto nelle case dei suoi cittadini, nei giorni della sagra (ma anche altre volte), mi è capitato di assaggiare prelibatezze con le quali è possibile formare un intero menù ovviamente senza dolci:
• ‘Mpanate di seppie
• Insalata di seppie agli agrumi
• Arancini al nero di seppia
• Spaghetti al nero di seppie (la ricetta è nel “Menù delle vacanze al mare”)
• Lasagne al nero di seppie (mie)
• Seppie ripiene
• Seppie alla pizzaiola
Ed ecco nel seguito le relative ricette
Pulire le seppie, togliendo le interiora, l’osso e la vescichetta che contiene il nero della seppia.
Lavare bene e mettere a in un colapasta a sgocciolare le seppie, tagliate a pezzettini.
Quando l’acqua sarà ben sgocciolata, mettiamo le seppie a soffriggere per qualche minuto con olio, prezzemolo aglio sale e pepe rosso. Lasciare che le seppie si insaporiscano.
Prendete del pangrattato e in una padella, con fiamma tenue, aggiungete un po’ di olio extra-vergine d’oliva, sale e pepe nero ed alla fine aggiungetelo alle seppie. Aggiungete pure qualche bicchiere di salsa di pomodoro pronta ed alcune patate tagliate a cubetti e fritte in padella con l’olio. In alcune case ci aggiungono anche dei pezzetti formaggio caciocavallo.
Impastate con acqua 1 kg di farina di grano duro, un pezzettino di panetto di lievito olio extra-vergine d’oliva ed un pizzico di sale, in modo da ottenere un impasto morbido e lasciate la pasta a lievitare sotto un canovaccio
Stendete la pasta in un piano in base alla grandezza della ‘Mpanata; (circa 25 x 15 centimetri).
Mettete uno strato di ripieno di seppie su mezza superficie di pasta e richiudete l’altra meta, formando l’impanata, formando le “nacche”, così come le si fanno per le focacce, aiutandoci nel chiuderle con indice e pollice.
Infornate a 200°C e lasciate cuocere in forno il tempo che l’impanata acquisti la doratura desiderata.
Cuocete a vapore 350 grammi di anelli di seppia (io ho usato i cestelli di bambù): appena diventano di colore bianco opaco e così rimangono teneri.
Metteteli in una ciotola e lasciateli raffreddare.
Pelate a vivo un pompelmo rosa ed una arancia e tagliateli a fette, aggiungendoli alle seppie.
Fare questa operazione sulla ciotola con gli anelli di seppia, così il succo che gocciola andrà ad unirsi al condimento dell’insalata.
Aggiungete due manciate di rucola o altra insalata tenera e condite con olio extravergine d’oliva, il succo di mezzo limone, sale e pepe.
Questa ricetta ha una firma prestigiosa come quella del famoso chef Carmelo Chiaramonte, che, pur essendo originarie del ragusano, oggi vive alle pendici dell’Etna (a due km da casa mia) e li definisce meglio “vulcanici”, anche se a Donnalucata fanno questi stessi arancini in modo leggermente diverso (e più semplificata).
Per prima cosa eviscerate e lavate mezzo chilogrammo di pesci per brodo (tracina, scorfano, teste di cernia e qualche pugno di gamberetti); quindi passateli su una teglia in forno in forno a 200°C per 20 minuti insieme ad una cipolla e dopo mettete il tutto in un tegame con un filo d’olio, uno spicchio di aglio intero, un rametto di timo ed un pizzico di peperoncino, lasciando dorare per tre minuti, passati i quali aggiungete un bicchiere di Marsala Vergine Solera e dopo qualche minuto anche un litro e mezzo di acqua.
Portate ad ebollizione a fuoco forte e, appena affiorano impurità, schiumate con un mestolino, abbassando il fuoco. Dopo un’ora il brodo dovrebbe essere già cotto, per cui spegnete ed aggiungete un cucchiaio di capperi dissalati e tritati e lasciate intiepidire, ma non raffreddare, in modo da filtrare il liquido in un colino a maglia sottile facendo attenzione di spremere i pesci per averne più succo possibile.
A questo punto pulite due seppie da 200 gr, spellandole, privandole dell’osso, eviscerandole e facendo attenzione a mettere da parte la sacca del nero ed eventuali gonadi o uova del mollusco.
Sul fondo di un’altra casseruola versate olio quanto basta, 40 gr di cipolla tritata, un ciuffo di basilico, 20 gr di concentrato di pomodoro essiccato al sole concentrato. Lasciate soffriggere a fuoco leggero per 5 minuti e sfumate con un bicchiere di Nero d’Avola. Aggiungete le seppie intere e 300 gr di sugo di pomodori costoluti di Pachino. Coprite la casseruola con un coperchio e lasciate cuocere a fuoco moderatissimo per 45 minuti, facendo attenzione di mescolare di tanto in tanto. A sugo pronto estraete le seppie e lasciatele raffreddare a parte. Versate nel sugo un cucchiaino di capperi tritati e le sacche del nero di seppia, mescolo per bene, e togliete dal fornello.
Quando le seppie sono ben fredde, tritatele finemente e mettele in frigo, aggiungendovi le gonadi lessate per 2 minuti e tritate le sue uova a crudo.
Cominciate a cuocere, quindi, un cucchiaio di cipolla tritata con 5 cucchiai d’olio d’oliva; fate dorare per 2 minuti e versate un bicchiere di Marsala Vergine Solera e, subito dopo, alcuni mestoli di brodo di pesce preparato prima, ma tenuto molto caldo: la cottura del riso deve avvenire lentamente e dopo 12 minuti, unite il sugo nero di seppia, mescolando sempre e aggiungendo altro brodo caldo se ce ne fosse bisogno.
Appena pronto, con cottura al dente, date una piccola mantecata con 4 cucchiai di olio d’oliva e disponete il riso su una grande placca d’acciaio o su di una superficie di marmo, lasciando raffreddare e mescolando di tanto in tanto per farlo raffreddare omogeneamente.
Raggiunta la temperatura ambiente, mettete il riso in frigo per circa due ore ed alla fine amalgamateci un uovo intero, mescolando bene, in modo da avere un impasto omogeneo e cremoso.
Ottenete quindi sei belle sfere di riso, aiutandovi con dell’acqua fredda, per evitare che l’impasto non si attacchi troppo alle dita: ogni sfera di riso deve essere schiacciata coi polpastrelli, aggiungendo nel centro una foglia di basilico, un pezzo di scamorza affumicata e un cucchiaio di seppia tritata; quindi chiudete la sfera di riso con i palmi delle mani.
Lasciate riposare in frigo gli arancini per 30 minuti e nel frattempo procedete ad amalgamare la pastella con due uova intere, 20 grammi di latte, 20 grammi di birra fredda e 30 grammi di farina, aiutandovi con una frusta.
Passate quindi gli arancini in questa pastella ed impanate con del pangrattato.
Scaldate l’olio d’oliva extra vergine e, a seconda del diametro del tegame di frittura, mettete uno o più arancini a friggere per almeno 6 minuti, con fuoco moderato, ma non troppo.
È bene fare attenzione che gli arancini siano sommersi interamente dall’olio.
Dopo la cottura lasciate asciugare ogni arancino su carta assorbente per vivande.
Aggiungete prima di servire un po’ di prezzemolo fresco tritato al momento.
Intanto, cuocete la pasta al dente e poi spadellatela con il nero per qualche minuto.Quindi aggiungete le sacche dell’inchiostro e rompetele con una paletta di legno, mantenendo il fuoco basso altrimenti se il calore è eccessivo il nero coagula, tenete sul fuoco per circa mezz’ora.
Dopo alcuni minuti aggiungete 300 g di pomodori pelati schiacciati, salate leggermente, incoperchiate e fate cuocere per almeno 15 minuti a fuoco basso e rigirando di tanto in tanto.
Fate soffriggere in una padella con 4 cucchiai di olio extravergine di oliva, una cipolla piccola trinatissima, un pezzetto di peperoncino e due spicchi d’aglio tagliati a metà e, quando questo è leggermente imbiondito, aggiungete le seppie già pulite e tagliate a pezzettini (ma non le sacche di nero) e fate andare sfumando con un bicchiere di vino bianco.Pulite un paio di seppie, avendo cura di staccare senza romperle le due sacche dell’inchiostro (altrimenti fatevele pulire dal pescivendolo.
Al momento di acquistare seppie (ma vale anche per polpi e similari), dategli sempre un leggero colpetto con le dita. se la pelle si arriccia e cambia colore significa che la bestia (il mio collega Gennaro Musella la chiamava la bambina) è ancora viva e pertanto freschissima.
Le ho rifatte per la prima volta proprio nel giugno scorso (anche senza sagra) e me le aveva insegnate Olga, una mia amica di Pordenone, circa trent’anni fa.
Pulite un paio di seppie, conservando il sacchetto dell’inchiostro, tagliatele a pezzetti e soffriggetele in un tegame con olio extra vergine di oliva ed uno spicchio d’aglio schiacciato. Quindi sfumate con mezzo bicchiere di vino bianco secco.
Poi aggiungete 400 grammi di pomodoro pelati a pezzetti, due foglie di alloro, sale e pepe rosso e/o nero (a piacere) e cuocete a fuoco bassissimo per circa trenta di minuti.
A metà cottura aggiungete il sacchetto del nero ed alla fine aggiungete prezzemolo trito.
Preparate la besciamella con un litro di latte, una noce di burro e la farina e mischiatene l’80 % con il sugo nero.
Imburrate una teglia e cospargetela con un poco di sugo nero, quindi posizionate uno strato di lasagne, su cui posizionerete uno strato di sugo e delle fette di uova sode, nonché la mozzarelle a fettone; quindi un altro strato di pasta, fino ad esaurimento degli ingredienti. Finite con uno strato di sola besciamella.
Passate in forno per trenta minuti a 180°C.
e se vi rimane del sugo di seppie potete sempre prepararvi una bella pizza al nero di seppie come ho fatto io:
Pulite due seppie: tagliate i tentacoli delle seppie e rosolali con olio sale e prezzemolo.
Ammollate nel frattempo un panino nel vino bianco.
Strizzatelo per bene e mescolatelo in un piatto fondo, assieme ai tentacoli cotti, un uovo, un cucchiaio di pecorino ed uno di parmigiano grattugiati, prezzemolo, poco sale, pepe nero e peperoncino.
Con il ripieno ottenuto, riempite le seppie e chiudetele, aiutandovi con uno stuzzicadenti.
Prendete una teglia (adatta al forno), foderatela con la carta da forno, aggiungete un letto di patate tagliate fini, aggiungete sale, pepe e un fio d’olio e adagiateci sopra le seppie ripiene.
Cuocete in forno a 180° per mezz’ora circa.
Alle fine togliete gli stuzzicadenti e servite.
Pulite un peperone rosso, levando i semi e i filamenti interni bianchi, tagliatelo a filetti. Pelate e tagliate quattro patate a piccoli dadi regolari.
Pulite un kg di seppie spellandole e levando la bocca, gli occhi e il sacchetto dell’inchiostro e tagliatele a striscioline non troppo piccole.
Rosolate un trito di cipolla e aglio, unite le strisce delle seppie e i filetti di peperone, lasciate insaporire qualche minuto poi bagnate con mezzo bicchiere di vino bianco secco.
Fate evaporare o poi unite i peperoni tagliati a pezzi, le patate, 100 grammi di olive snocciolate, 20 grammi di capperi dissalati, 30 grammi di pasta d’acciughe, una buona manciata di origano e un bicchiere d’acqua.
Quindi salate e pepate, incoperchiate e fate cuocere a fuoco basso per circa cinquanta minuti.
Se il sugo fosse ancora troppo liquido fatelo ridurre a fuoco vivace.
Prima di servire cospargete con un trito abbondante di prezzemolo tritato.
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