Novara di Sicilia è un paese nel cuore dei Monti Peloritani in provincia di Messina di origine preistorica del mesolitico, come testimoniano i ritrovamenti in contrada Casalini e le rudimentali abitazioni scavate all’interno della roccia Sperlinga.
Il nome Noa, è vocabolo di origine sicana, che significa “maggese”, a indicare la cospicua produzione di frumento che caratterizzò la colonizzazione greca.
Con i Romani il nome cambiò in Novalia (campo di grano) e per gli Arabi fu Nouah (giardino, orto, fiore). Nel medioevo fu Nucaria, Noara, fino alla Novara di oggi. Entrarci è saltare a piè pari nel Medioevo a partire dalle strade – acciottolato chiuso ai bordi da arenaria locale, la protagonista di tutte le più importanti costruzioni del paese. Il lavoro sapiente di generazioni di scalpellini, un mestiere orgogliosamente tramandato di padre in figlio. L’altra pietra locale è il cipollino dal bel rosso marmoreo che troverete in tutti i monumenti del borgo – più di quanti potreste pensare.
Domina su tutto la Rocca Saracena di cui ne restano i ruderi, da vedere il Duomo rinascimentale, la Chiesa di San Francesco del secolo XIII, la più antica e piccola del borgo; nella parte alta del paese sorge la Chiesa di Sant’Ugo Abate (secolo XVII). Al centro del paese si trovano la Chiesa di San Nicolò (secolo XVII), e gli palazzi nobiliari.
Divenuto solo con i saraceni un punto di riferimento per tutta la zona, intorno fra il 1061 e il 1072 si insedia una colonia di lombardi, di religione cattolica con rito latino e 10 anni dopo fu edificata la prima edificazione cistercense della Sicilia.
Negli ultimi cento anni il paese ha registrato un tremendo decremento demografico che ha visto ridurre la popolazione da circa 7.000 a poco più di mille abitanti: cinquanta anni fa mio nonno Vincenzino, avendo bisogno di manodopera per le sue aziende, attingeva da notevole serbatoio di manodopera giovanile, che era presente ancora a quel tempo nelle varie Frazioni di San Basilio, San Marco, Badia Vecchia, Santa Barbara, Vallancazza, Scellia, Piano Vigna.
Nei territori di Novara di Sicilia da sempre viene praticata la pastorizia, ma con l’avvento dell’agricoltura industriale e della globalizzazione, la struttura socio-economica rurale siciliana, rimasta pressoché inalterata per circa un millennio, si sgretolava irreversibilmente.
Con essa, scomparivano gradualmente anche le conoscenze del mondo pastorale, trasmesse di generazione in generazione dagli zammattari (pastori-casari nel dialetto dei peloritani), tra cui il metodo tradizionale di produzione del formaggio pecorino “maiorchino“, che, infatti, è divenuto quasi mitico.
La sua origine viene riportata in alcuni appare documenti del 1600 con riferimento al “giuoco della maiorchina”, una gara a squadre di lancio di una “forma” di formaggio rotonda del peso di circa 11 kg.
Il mio amico Nino Campo, recentemente, ha trovato, che esiste un’altra origine del formaggio maiorchino, connessa alla battaglia di Francavilla del 20-06-1719, in quanto la milizia spagnola, molti dei quali disertarono, per rimanere nei nostri paraggi, proveniva dai territori poverissimi delle isole Baleari: Minorca, Evissa e soprattutto Majorca; in cui l’economia prevalente era la pastorizia, con la conseguente caseificazione di un particolare formaggio denominato formaggio Mahon, a tutt’oggi praticata, con lavorazione del tutto simile al maiorchino di Novara di Sicilia.
Più recentemente si potrebbe dovere il nome al latifondista di riferimento, che ne consentì il recupero nella pratica agricola: la contessa Maiorca Mortillaro, della quale conservi qualche scritto.
Ma il nome del formaggio si ipotizza che possa provenire dal termine “maiorca“, una varietà di frumento che veniva tradizionalmente somministrato alle greggi per ottenere il latte necessario alla produzione del Maiorchino.
Il Maiorchino è un formaggio a pasta dura cruda, per il 60% di pecora 40 % di capra, prodotto con attrezzature tradizionali come la “quarara”, la “brocca”, la “garbua” (fascera di legno), il “mastrello” (tavoliere di legno), le “fascedde”: la particolarità della lavorazione è rappresentata dalla foratura della pasta, con una sottile asta di ferro detta “minaccino”, che favorisce la sineresi; le forme dopo due giorni vengono salate a secco per 20/30 giorni. La stagionatura avviene in costruzioni di pietra, a volte interrate, fresche ed umide, dotate di scaffali in legno. Può protrarsi fino a ventiquattro mesi.
La forma è cilindrica a facce piane o lievemente concave, la crosta è di colore giallo ambrato tendente al marrone con l’avanzare della stagionatura, la pasta è bianca tendente al paglierino, la consistenza è compatta. Il peso può variare dai 10 ai 18 kg. In bocca, gli aromi erbacei, floreali e fruttati caratterizzano questo formaggio dal gusto deciso e piccante, soprattutto se stagionato.
Ricordo da piccolo, che a dieci metri da casa mia, abitava Giuseppe Vallone, un importante commerciante di formaggio maiorchino, dove potevo trascorrere qualche ora ad aiutarlo nelle sue operazioni di pressochè continua oleatura di 16 filari di dieci metri di forme, poste a stagionare nel sotterraneo della sua casa, che nel lato nord affacciava su un bellissimo e profumatissimo giardino, come a volere bilanciare l’intenso aroma che permeava l’ambiente al suo interno.
A Novara di Sicilia nel 2019 si terrà la XXXI Edizione della Sagra e Torneo del Maiorchino, durante la quale, nell’ultimo giorno di Carnevale, si svolge la finale del torneo, che si svolge durante tutto il mese di febbraio, per le strade ed i vicoli del paese, con partenza dalla via Duomo fino alla via Bellini e Piano Don Michele, e che si conclude la domenica di carnevale, con la tradizionale “maccheronata in piazza” al sugo di salsiccia, imbiancata da una fitta cascata di maiorchino grattugiato.
Il singolare torneo consiste nel far rotolare una forma di formaggio maiorchino stagionato lungo un percorso che si snoda per oltre due chilometri lungo le viuzze del paese. Giocano sedici squadre regolarmente di tre concorrenti ciascuna, si parte da “cantuea da chiazza” arrivando fino ad un traguardo: “a sarva“. Si lancia con una “lazzada” di 1,00-1,20 metri circa, che consente al lancio maggiore forza, velocità e precisione. Si aggiudica la vittoria chi arriva primo con meno colpi a colpire “a sarva“.
A volte ci sono degli imprevisti come prendere “spighi, catafulchi o vaelle“. Il gioco ha delle precise regole da rispettare, tra queste: ogni squadra deve indicare il proprio capitano che potrà conferire con i giudici di gara per far eventualmente valere le proprie ragioni; ogni squadra deve munirisi di una “lazzada” da attorcigliare al maiorchino per il lancio; inizia il gioco la squadra che risulta sorteggiata per prima (toccu); ogni contendente deve lanciare il maiorchino dal punto segnato, senza alcuna rincorsa, facendo leva sul piede d’appoggio (“pedi fermu”); nel caso in cui il maiorchino nel corso della gara dovesse rompersi verrà sostituito con un’altra forma di maiorchino di uguale peso e il lancio precedente verrà ritenuto valido; alla fine di ogni gara il maiorchino dovrà essere restituito al circolo Olimpia (l’associazione che organizza il torneo e la sagra del maiorchino).
Interesse vivamente sentito hanno gli spettatori, che parteggiano per l’uno o per l’altro contendente; si vive un’atmosfera di esultanza e di esaltazione, di emulazione e rivalità, di confronti e preferenze, di previsioni e pronostici, mentre, nel brusio della gente, partigiana di una o l’altra parte, si ascoltano voci che invitano a prestare attenzione all’imminente lancio della “maiorchìna” e si ridestano i ricordi di lanci “famosi” di giocatori che hanno fatto la storia del “gioco della maiorchìna”. Come se si sfogliasse un vocabolario antico, si pronunciano, durante il giuoco, parole di lingue diverse. Si ascoltano parole ed accenti arcaici; sono parole che non si ripetono nell’anno, ma soltanto in occasione della sagra invernale novarese.
Nell’occasione, nella centrale Piazza Bertolami, viene allestito un vero e proprio ovile dove i pecorai, che indossano i caratteristici indumenti di un tempo, preparano con i metodi tradizionali, al cospetto del pubblico, la ricotta ed il formaggio -“a tuma“- che vengono poi distribuiti ai presenti. La festa si completa con la degustazione dei maccheroni fatti in casa, conditi con il sugo di salsiccia e ricoperti da una vera e propria cascata di maiorchino grattugiato, con il contorno di altri prodotti tipici locali, innaffiati dal buon vino genuino della zona. Fa seguito il conclusivo e strapaesano ballo in piazza. Uno spaccato, dunque, di folklore e di popolaresca semplicità che si associa alla valorizzazione dell’antico patrimonio pastorale ed a quella genuina civiltà contadina della quale la popolazione novarese è depositaria.
Il latte, ovino o misto, viene scaldato alla temperatura di 39° e addizionato con caglio in pasta di capretto o di agnello. La cagliata, presamica, subisce una rottura alle dimensioni di un chicco di riso. La pasta viene cotta a 60° e poi lasciata depositare sul fondo della caldaia a riposare sotto siero per alcuni minuti. Dopo l’estrazione, trova posto nelle fascere, per una pressatura a mano. Infine, le forme vengono forate con il “minaccino”, piccola e sottile asta di ferro, per aumentare lo spurgo del siero. La salatura è a secco. La vera difficoltà nel produrre il Maiorchino risiede nella scelta del tipo di pascolo. Le greggi, infatti, vengono lasciate libere di nutrirsi con quanto offre il paesaggio affinché il loro latte assorba le caratteristiche della vegetazione e mantenga il caratteristico aroma erbaceo, di buona sapidità e con sfumature amare di noci e frutta gialla.
Ed ecco ora un menù “ispirato” a questo importantissimo ingrediente, che rappresenta l’ancestrale tradizione gastronomica siciliana:
ed ecco tutte le ricette.
Questa ricetta molto semplice, profumata e gustosa realizza dei deliziosi biscottini al formaggio, preparati con il Maiorchino grattugiato a media stagionatura; possono essere gustati insieme a un cocktail per arricchire un aperitivo, possono accompagnare un consommé nelle calde serate d’inverno o possono semplicemente rappresentare uno snack saporito e appetitoso da sgranocchiare in qualsiasi momento della giornata in cui si ha voglia di qualcosa di salato.
Ingredienti:
Preparazione:
Separate i tuorli dagli albumi, montate i primi per almeno 5 minuti con un pizzico di sale e un pizzico di noce moscata, i secondi a neve ferma anch’essi con un pizzico di sale; incorporate delicatamente i tuorli agli albumi montati a neve con un cucchiaio di legno, successivamente unite la farina, quindi il Maiorchino grattugiato e mescolate finché avrete ottenuto un composto soffice e omogeneo.
In ultimo dovete unire il burro fuso, la scorza grattugiata del limone e il prezzemolo tritato.
Preriscaldate il forno a 200°, rivestite una teglia con carta da forno e spalmatevi il composto in modo omogeneo dandogli uno spessore di circa mezzo centimetro.
Infornare per 10-12 minuti, sfornare e lasciare raffreddare.
Con una formina a piacere realizzate i vostri biscotti e prima di servirli spolverateli con un pizzico di Maiorchino grattugiato in superficie.
Tritare 150 grammi di prosciutto molto finemente ed unirlo a 150 grammi di ricotta (ovviamente di pecora e capra) ed a 1,400 kg di scarola ben lavata ed asciugata, Versare un filo d’olio, aggiustare di sale (poco) e di pepe ed amalgamare il tutto. Impastare con due cucchiai d’olio 700 grammi di pasta di pane di pane già lievitata.
Dividere la pasta in 8 panetti e stenderli sulla spianatoia infarinata, formando otto dischi.
Distribuire sulla metà di ognuno pezzetti di Maiorchino ed un cucchiaio di ripieno.
Chiudete i calzoni a mezzaluna, premendo bene sui bordi, inumiditi con un po’ d’acqua.
Friggere i calzoni siciliani al Maiorchino in abbondante olio caldo, fare asciugare su carta assorbente e servire immediatamente.
Ingredienti per pasta all’uovo
Ingredienti per ripieno
Ingredienti per emulsione all’olio d’oliva
Ingredienti per pesto di pistacchi
Ingredienti per guarnizione
Preparazione
Impastare la farina, a fontana, inserendovi le uova sbattute e amalgamando; far riposare l’impasto, una volta ben liscio e omogeneo, almeno per il tempo di lavorazione, coperto con pellicola alimentare e in frigorifero.
Frustare vigorosamente in una boule la ricotta con il Maiorchino grattugiato, il tuorlo d’uovo e l’origano, aggiustare di sale e macinare abbondante pepe nero; inserire il composto in un sac à poche.
Frullare i pistacchi inserendo a filo l’olio di semi, poi l’acqua e infine l’aceto; sbollentare il prezzemolo e il finocchietto, raffreddarli in acqua e ghiaccio e frullarli con i pistacchi. Aggiustare di sale e inserire il composto in sac à poche, lasciandolo riposare in frigorifero.
Tritare grossolanamente la cipolla e l’aglio dopo averli mondati, stufarli nell’olio d’oliva e filtrare il tutto con uno chinois, conservando solamente l’olio.
Tirare la pasta molto sottilmente, copparla, inserirvi del ripieno e chiudere dei piccoli ravioli con l’ausilio di poco albume d’uovo.
Cuocere qualche secondo i ravioli in abbondante acqua bollente salata; scolarli, prelevare 25 g di acqua di cottura, aggiungerla all’olio d’oliva tenuto da parte ed emulsionare.
Salsare i ravioli con l’emulsione appena fatta; porre delle piccole gocce di pesto di pistacchi sul fondo del piatto e impiattarvi sopra 10 ravioli ben caldi.
Porre una goccia di pesto su ogni raviolo; guarnire il piatto con dei rametti di finocchietto selvatico, della granella di pistacchi posta in modo da formare dei piccoli segmenti, del grattugiato, della scorza di limone verdello grattugiata e del pepe macinato.
In una padella antiaderente fai tostare 100 grammi di nocciole qualche minuto. Spellale e frantumale grossolanamente.
In un tegame fai sciogliere 20 grammi di burro, con cucchiaio di scalogno ben tritato e tosta 320 grammi di riso fino a quanto sarà caldissimo.
Sfuma con vino bianco e lascia evaporare.
Bagna con brodo bollente e lascia cuocere mescolando e aggiungendo altro brodo appena il precedente viene assorbito.
Quando il riso sarà al dente aggiungi 100 grammi di formaggio, metà dose di nocciole e mescola fino a quando il formaggio sarà completamente sciolto.
Spegni il fuoco e continua a mantecare qualche secondo.
Servi in piatti piani, cospargendo il risotto con le rimanenti nocciole frantumate grossolanamente.
Per una versione creativa, decora il risotto con una riduzione di vino rosso.
Fai bollire il vino con mezza foglia di alloro, un rametto di rosmarino e uno di timo fresco fino a quando si sarà ridotto ed avrà assunto una consistenza simile a uno sciroppo.
Molto diffusa in tutta la Sicilia, la pasta ‘ncasciata nasce nel Messinese ed è considerata il piatto tipico del piccolo comune di Mistretta.
Per certi aspetti, tra cui alcuni ingredienti in comune, può ricordare la pasta alla Norma, anch’essa originaria del Messinese, ma è la sua preparazione a distinguerla (e a darle il nome).
Non tutti i tipi di pasta vanno bene: la tradizione e il metodo di cottura richiedono l’utilizzo di maniche di maccheroncino o sedani rigati, come ultima alternativa potete optare per i maccheroni. Inoltre, la ricetta tradizionale prevede prodotti tipici siciliani, ma per fortuna a quest si può ovviare con vari prodotti presenti in praticamente tutte le regioni d’Italia.
Una volta cotta la pasta e mischiata agli ingredienti, il piatto viene preparato su una casseruola che va circondata di brace (questa operazione è detta ‘ncacio’ in dialetto messinese).
GLI INGREDIENTI (per almeno quattro persone)
PREPARAZIONE
Tagliare le melanzane a fette e friggerle dopo averle tenute per almeno un’ora in acqua e sale.
Soffriggere il tritato con olio abbondante, sfumare con il vino e cuocere aggiungendo un po’ di salsa di pomodoro.
Cucinare la pasta, scolandola al dente, versarla in un contenitore e condirla con la salsa di pomodoro.
Ungere una teglia o casseruola, dando una spolverata di pangrattato e versare all’interno la pasta, alternandola a strati con il resto degli ingredienti.
L’ultimo strato di pasta va poi coperto con melanzane, salsa di pomodoro e abbondante pecorino.
Cuocere in forno ben caldo per circa venti minuti.
La ricetta originale prevede che la casseruola venga adagiata su uno strato di brace ardente, chiusa con un coperchio e coperta a sua volta da altra brace.
Ad ogni modo, basta un semplice forno per ottenere un risultato comunque soddisfacente, gustoso e succulento.
Predisporre 4 ciotole di terracotta o di porcellana (una per persona).
Tagliare a fettine 4 rosette di pane.
In ogni ciotola creare 4 strati omogenei, alternando uno strato di fettine di pane precedentemente ammorbidite nel latte con uno strato di fettine di formaggio Maiorchino fresco (12 mesi).
In una coppa di vetro frustare 4 uova con 100 grammi di latte intero freddo e con un pizzico di sale; ricoprire quindi gli strati di formaggio e pane raffermo con tale impasto, avendo cura che aderisca adeguatamente alle ciotole.
Infornare a 200 °C e cuocere per 18 minuti.
Ingredienti
Tagliare le cipolle a julienne grossolanamente e tostarle.
Stendere su un ripiano un foglio di carta da forno o un tappetino per il sushi.
Stendere in verticale una vicina all’altra le fettine di bacon.
Condire in una ciotola la carne macinata con sale, pepe e spezie se preferite.
Con le mani umide stendere la carne macinata dell’altezza di mezzo dito partendo dalla parte bassa fino ad arrivare ai due terzi della lunghezza delle fettine di bacon.
Tagliare l’emmenthal in modo da aver un lungo pezzo di formaggio largo un dito (possiamo unire più pezzi).
Aggiungere l’emmenthal nella parte bassa della carne stesa.
Avvolgere partendo dal basso aiutandosi con la carta da forno o il tappetino del sushi fino a creare un rotolo bello compatto.
Cuocere a 180° per 25 minuti.
Spennellare con salsa barbecue e cuocere per altri 10 minuti.
“Impanare” il rotolo ancora caldo nella cipolle tostate che si attaccheranno alla salsa barbecue.
Foderare una teglia con un foglio di carta forno e ungerla con un pochino di olio.
Adagiarci sopra le fettine di pollo distanziate tra loro. Salarle e peparle.
Appoggiare su ogni fettina una sottiletta di formaggio (magari tagliatela in due parti)
Cospargere ogni fettina con il prezzemolo e l’aglio tritati.
Irrorare con il vino bianco.
Infornare in forno statico da freddo a 200°C fino a quando la carne sarà cotta e il formaggio si sarà sciolto e dorato.
Servire subito irrorando la carne con la cremina di formaggio, buon appetito!
Versare in un recipiente 8 uova, 200 grammi di farina, 300 grammi di maiorchino e un bicchiere di olio.
Mescolare bene e aggiungere una bustina di lievito.
Versare il tutto in uno stampo e informare a 180°C per 40 minuti.
In un tegamino mettete 4 cucchiai d’acqua, unite 100 grammi di zucchero e fatelo cuocere a fuoco moderato finché avrà raggiunto un colore dorato.
Toglietelo dal fuoco, versatelo in una pirofila e rigiratela facendo aderire il caramello alle pareti.
In una ciotola sbattete con la frusta tre uova con 2 dl d’acqua, unitevi 200 grammi di latte condensato, 60 grammi di mascarpone e 60 grammi di ricotta.
Continuate a sbattere il tutto fino ad ottenere un composto ben amalgamato.
Versatelo in una pirofila preparata, ponetela in forno a 180 °C e fate cuocere il flan per 1 ora circa.
Sfornatelo e lasciatelo raffreddare.
Mettetelo in frigo per almeno 1 ora, quindi sformatelo sul piatto di portata e servitelo a tavola.
Consigli
Nella preparazione del caramello, ricordatevi che lo sciroppo di zucchero si cristallizza velocemente. Ma aggiungendo poche gocce di limone oppure 1/2 cucchiaino di miele liquido si ovvierà a questo inconveniente.
PER IL RIPIENO
Per realizzare la torta di briciole alla ricotta raccogliete in una ciotola la farina con lo zucchero, il burro a pezzetti, le mandorle tritate, l’uovo, il lievito e lo zucchero vanigliato.
Lavorate con le mani tutti gli ingredienti fino a ottenere un impasto sbriciolato.
Fate sciogliere in un padellino antiaderente lo zucchero semolato e quando ha assunto un bel colore ambrato unitevi i gherigli di noci.
Mescolate velocemente e trasferite i gherigli caramellati su un foglio di carta da forno.
Fateli raffreddare e quindi tritateli grossolanamente.
Riunite ora in una ciotola capiente la ricotta con le noci caramellate, il cioccolato tritato e il rum e lavorate tutti gli ingredienti fino a ottenere una morbida crema.
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