Valverde è un piccolo centro della provincia di Catania, che veniva denominato anche Bedduvirdi o Aci Belverde.
Infatti, siamo nel territorio delle Aci, le quali furono determinate, nel periodo della dominazione spagnolo, dai contrasti e dalle rivalità fra i casali di Aquilia Nuova (Acireale), i quali chiedevano autonomia amministrativa: nacquero quindi Aci Bonaccorsi (1652), Aci Castello (1647, comprendente anche Aci Trezza), Aci S.Filippo ed Aci Sant’Antonio (1628, comprendente anche l’allora “Aci Belvedere, Aci S.Lucia ed Aci Catena).
L’autonomia comunale arriverà però solo in epoca moderna. La scintilla fu lo storno da parte del comune di Aci Sant’Antonio dei fondi destinati alla costruzione del cimitero dell’allora frazione di Valverde in contrada Caramme, che scatenò la reazione dei valverdesi: era il 1949.
Due anni più tardi, il 14 aprile 1951 con apposita legge regionale veniva istituito il Comune di Valverde e il 25 maggio 1952 si tennero le elezioni per il primo consiglio comunale. Il primo sindaco fu Vincenzo Gammino, più volte rieletto, rimasto in carica per oltre 25 anni.
Le antiche tradizioni prettamente agricole, sono state oggi soppiantate dalle varie attività del mondo moderno.
Una di queste, nell’800, si svolgeva nell’ultima settimana di agosto del 2014, in occasione della festa della Madonna di Valverde, allorquando i pescatori di Aci Trezza (“Trezzoti”), giungendo la salatura delle acciughe a maturazione, dopo 90 giorni circa, approfittavano della prima festa per porle in vendita.
Tale abitudine viene descritta anche nel romanzo “I Malavoglia” scritto da celebre “trizzoto” Giovanni Verga, grande interprete della corrente letteraria del “verismo”.
L’acciuga è un pesce comunissimo del bacino del Mediterraneo e per questo ha molte denominazioni regionali o dialettali: “lice” tra Bari e Brindisi, “anciova” in Sicilia, “sardon” tra Veneto e Marche, “anciuia” in Liguria… Nella lingua italiana si chiama “alice”.
Le alici sono pesci di profondità e si avvicinano alle coste durante il periodo riproduttivo, ovvero nei mesi compresi tra marzo ed agosto; è allora che vengono pescate, di notte alla luce di enormi lampare.
L’acciuga, considerato un pesce poco ricercato, viene raramente consumato fresco, mentre è apprezzato come conserva sotto sale, sott’olio o marinata.
Dalle rievocazioni di tale tradizione dei “trizzoti”, nel 1986 nasce la sagra dell’acciuga, giunta nel 2014 alla sua 29 edizione.
La sagra viene organizzata dalla Pro Loco comunale, proprio nei luoghi dove si svolgeva la vendita delle acciughe, con la collaborazione di associazioni locali di volontari, i quali, dalle 19.00 a mezzanotte, danno vita a tutta una serie di iniziative, quali convegni sul tema del pesce azzurro, attività musicali e culturali tradizionali.
Come ogni sagra che si rispetti, vengono aperti al pubblico stands con prodotti tipici della tradizione popolare siciliana e sarà possibile la degustazione di piatti a base di acciuga secondo ricette antiche e semplici.
Ma vediamo prima come si preparano le acciughe sotto salatura.
Vengono utilizzati tipicamente contenitori cilindrici in coccio o terracotta o legno, ma possono anche essere utilizzati contenitori in vetro o plastica ad uso alimentare o di acciaio; può essere inscatolato nella latta quando il prodotto è maturo.
Preferibilmente nel mese di maggio, si acquistano 5 chilogrammi di acciughe freschissime e 3 chilogrammi di sale grosso; non usare mai il sale fino, perché così le acciughe vengono troppo salate e non si riesce a dissalarle.
Ci si procura disco di terracotta, che serve a coprire il preparato, un peso un kg circa (va bene anche una pietra appiattita) per mantenerlo pressato e un tappo di plastica.
Le acciughe da salare non devono assolutamente mai venire in contatto con l’acqua dolce o col ghiaccio, altrimenti ammuffiscono e marciscono: fare attenzione a che nella cassetta del pesce che si acquista non ci sia assolutamente ghiaccio e quindi acqua dolce a contatto col pesce.
È quindi importante non bagnare mai con acqua dolce in nessuna fase della preparazione il pesce, le mani od i contenitori; mai nemmeno risciacquare il pesce con acqua dolce. Gli schizzi di acqua dolce dentro un contenitore provocano delle macchie di muffa, facendo imputridire localmente la preparazione.
Preso quindi il pesce, con la mani si levano le squame dal pesce, prendendo un’acciuga con una mano per la coda e poi passando delicatamente le dita dell’altra mano sul dorso e sull’addome del pesce. Quindi si passa a togliere la testa e le interiora. Per prima cosa di elimina la testa, spezzando la colonna vertebrale del pesce a livello delle branchie e strappando poi via la testa avendo cura di trascinare via anche le interiora insieme ad essa.
Per essere sicuri che le interiora siano state completamente asportate, si passa l’indice all’interno della cavità addominale del pesce, aprendola sul lato anteriore e togliendo eventuali residui. Se comunque nella fretta rimane qualche residuo di interiora, questo sarà sterilizzato dal sale.
Gettate un po’ di sale sulle acciughe, mescolatele delicatamente e lasciatele riposare almeno un’oretta al fresco, ma alcuni le lasciano fino a 24 ore. Questa fase della preparazione permette alle acciughe di perdere parte del sangue e dei liquidi.
Si cosparge il fondo del contenitore con due cucchiai da cucina di sale grosso e poi si dispongono i pesci in fila, disposti testa-coda, con due di traverso ai lati, per riempire lo spazio curvo che avanza ai lati della fila.
Si ricomincia poi coprendo i pesci con altri due cucchiai di sale; non è necessario coprire con un centimetro di sale, due strati di pesce possono anche toccarsi in certi punti, l’importante e non lasciare grossi vuoti. Si va avanti così per 7-8 strati, incrociando gli strati di pesce, finché non si riempie il contenitore fino a 2 cm dal bordo, che andranno colmati con il sale fino all’orlo.
Si copre poi con una pietra piatta e rotonda, per mantenere il tutto pressato, si poggia sopra una pietra rotonda e pesante.
Dato che la salamoia andrà a traboccare, bisogna mettere il contenitore su un altro contenitore più largo (un piatto, una padella, ecc.) ed in modo che la salamoia in eccesso, che non va gettata, possa essere usata per fare eventuali rabbocchi di liquido salato evaporato, non dovendo mai mancare.
Inoltre, quando tutte le acciughe sono state consumate, la salamoia avanzata si può usare per condire al posto del sale. Essendo salamoia di pesce, contiene un’alta percentuale di glutammato, che da più sapore a qualsiasi cibo.
Il contenitore, per circa tre mesi, deve essere lasciato al buio e all’aria aperta, avendo cura di non lasciare seccare la superficie del sale. Se necessario si può preparare una salamoia con circa 100 grammi di sale e 250 grammi d’acqua bollita, lasciando raffreddare la salamoia prima di usarla.
Le acciughe sotto sale durano anche due o tre anni, però più il tempo passa, più il sale corrode la carne consumandola.
Aprendo il coperchio, si sprigiona un forte odore di mare. Togliendo il pesce dalla salamoia, bisogna fare molta attenzione che nulla venga in contatto con acqua dolce. Là dove cadono gocce d’acqua dolce, per esempio sulla piastra o sul peso, si crea una zona non salata sulla quale attecchisce la muffa. Se le macchie di muffa sono piccole e confinate, è possibile pulirle, ma se si estendono rapidamente per precauzione è meglio gettare l’intero vaso di pesci.
Per dissalare il pesce, lo si lascia sotto l’acqua corrente e una volta lavate le acciughe, si tolgono la pinna dorsale e ventrale, poi la lisca completa di coda. Per asciugarle, si lasciano su un tagliere di legno oppure si tamponano con carta da cucina.
Le specialità, famosissime in tutto il catanese, che possono essere preparate sono:
Ma con le acciughe salate si possono preparare mille altri piatti, fra cui ve ne suggerisco alcuni:
Ma vediamo le ricette:
Dette anche nella Sicilia orientale sfinci, dall’etimo arabo “sfang”, che vuol dire pasta fermentata e fritta
Entro una bacinella di ceramica o zuppiera impastate 1,200 kg di semola di grano duro con 200 grammi di latte caldo ed acqua calda moderatamente salata, assieme 50 grammi di lievito.
Impastate con le mani, che avrete unto con olio (altrimenti l’impasto si appiccica), a lungo, con acqua abbondante, che non ci sia nessun grumo: se avete una impastatrice elettrica, bastano 25 minuti.
Otterrete una pasta sofficissima, al limite dello stato liquido, che coprirete con una coltre di lana ripiegata, per lasciarla lievitare almeno tre ore.
Preparate una padella dai bordi alti o un tegame, mettendoci un quantitativo di strutto tale da lasciare galleggiare abbondantemente le crispelle: diciamo circa 20 centimetri di altezza di liquido. Raggiunta la temperatura, mantenete il fuoco basso.
Preparate, accanto alla padella dai bordi alti per friggere, un piatto con le acciughe diliscate, ridotte a pezzetti da tre-quattro centimetri.
Avvicinate il recipiente con la pasta lievitata e munirsi, vicino, di un altro recipiente colmo d’acqua, in cui, necessariamente, bagnerete la mano destra, una volta che abbandonata la pasta farcita nello strutto bollente della padella.
Con rapido gesto, prendete un pezzetto d’acciuga con la mano sinistra, mentre la mano destra si prende un pezzetto di circa trenta-quaranta grammi di pasta.
Con tutt’e due le mani manipolare celermente la pasta, dando una forma allungata, affinché copra completamente il pezzetto d’acciuga, che deve rimanere, celato, al centro: quindi lasciar cadere la crispella, così formata, entro il padellone.
La pasta, a contatto col liquido bollente, istantaneamente s’increspa, donde il nome, ed è pronta quando assume un bel colore dorato compatto.
Appena dorata, estraetela con un lungo remaiolo fatto di cerchietti di metallo concentrici e ponetela a sgocciola.
Finito tutto l’impasto e cotte per la prima volta tutte le crispelle, procedete a friggerle nuovamente cominciando da quelle più fredde.
Prendete un kg di tuma e lasciatela fuori dal frigo per almeno 24 ore, avvolta in un canovaccio, dentro il forno spento, in modo da farla “lievitare”.
Il giorno dopo, deve poi essere tagliata a dadini piccoli (cubetti da 2 cm di lato) e condita con sale e pepe.
Mescolate un kg di farina 00 con 250 grammi di semola di grano duro ed impastate con acqua tiepida, nella quale avete precedentemente disciolto il sale.
Durante la lavorazione, aggiungete mezzo etto di strutto oppure l’equivalente in olio d’oliva e continuate ad impastare, per non meno di 30 minuti, aggiungendo acqua tiepida (se necessario).
Impastate finché, pressandolo leggermente con un dito, l’impronta scompare subito.
Quando l’impasto avrà raggiunto la giusta omogeneità ed elasticità, avvolgetelo con un canovaccio di cotone cosparso di semola.
Quindi ricoprite con una coperta di lana e lasciate riposare per 45 minuti.
Dopo di che, prendete dall’impasto un pezzo di circa 200 grammi, col quale si formare un filone, che dividerete a palline di circa 50 grammi cadauno.
Stendete ogni pallina in una sfoglia sottile: stirate la pasta col mattarello molto sottile, come se fosse una sfoglia.
Al centro di ogni disco mettete un mucchietto di tuma, con 3|5 filetti di acciuga sottosale (ma dissalate), un paio di olive nere e della cipollina tritata sottile.
Chiudete a portafoglio (come se fosse un calzone). Fate molta attenzione a far aderire bene i bordi, comprimendoli energicamente e sagomandoli con una rotella ondulata. perché se in cottura si aprono non sono più mangiabili.
Friggete in olio bollente e profondo avendo cura di girare il pezzo una sola volta, quando mostra una lieve doratura.
E’ un primo furbissimo, si prepara in un lampo, ideale per una cena improvvisata.
Minimo sforzo e massimo risultato, è il caso di dirlo.
Lessare la pasta.
Intanto scaldare in padella mezza cipolla, olio, acciughe.
Unire un po’ di concentrato di pomodoro e stemperare il sugo con un po’di acqua.
In un’altra padella tostare il pangrattato.
Scolare la pasta e condirla con il sugo alle acciughe e completare con il pangrattato.
Raccogliete o procuratevi foglie di salvia più grandi, lavatele e fatele asciugare.
Intanto pulite le acciughe, facendole passare sotto l’acqua, togliete loro le spine e fatele a piccoli pezzi.
Quindi prendete due foglie di salvia, mettete tra l’una e l’altra un pezzettino d’acciuga e immergetele nella pastella di acqua e farina che avrete precedentemente preparato.
A questo punto non resta che gettare i piccoli “sandwiches” di salvia nell’olio bollente.
Portateli in tavola appena finite di friggere: vanno gustati caldissimi, spolverizzati di sale a piacere.
Soffriggete in padella con oliva extra vergine di oliva una cipolla tritata e cuocete a fuoco medio fino caramellarla. Questo dovrebbe richiedere circa 20 minuti.
A metà cottura, aggiungete un cucchiaino di timo tritato e quattro spicchi d’aglio tritato, sale e pepe a piacere. Togliete dal fuoco e mettere da parte.
In una ciotola mischiate, mozzarella, formaggio di capra, scorza di limone, un cucchiaino di olio extra vergine d’oliva, un cucchiaino di timo tritato, due spicchi d’aglio tritato ed un poco di pepe nero.
Stendete in una teglia la pasta per pizza, che avrete preparato a parte prima.
Cospargete con le cipolle caramellate e aggiungete 12 filetti di acciuga, pezzetti di limone. e la mozzarella condita.
Infornate a 280°C per circa 10 minuti (dipende dal tipo di forno).
Sbollentate 300 g di pomodori, pelateli, privateli dei semi e tritateli grossolanamente.
In una padella ponete a rosolare un spicchio d’aglio con dell’olio extravergine, unite i pomodori, salate e pepate.
Diliscate, dissalate e sminuzzate tre acciughe e mescolatele con la polpa di pomodoro insieme al prezzemolo tritato. Lasciate cuocere per circa 15 minuti.
In una ciotola sbattete otto uova con un pizzico di sale e uno di pepe, unite il sugo di pomodoro e acciughe e mescolate.
In una larga padella fate scaldare un filo d’olio di oliva, versatevi il composto di uova e lasciatelo rapprendere poi voltate la frittata con l’aiuto di un coperchio (fate attenzione) e fatela cuocere anche sull’altro lato. Servitela immediatamente.
Ma il migliore modo di gustare una acciuga salata rimane il seguente: pane appena sfornato, abbondante olio novello, acciughe dissalate una notte, aglio di rosso Nubia, fiori di origano e maggiorana.
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