Sagra del Pesce spada di San Giovanni ad Acitrezza (Acicastello – giugno)

Sagra del Pesce spada di San Giovanni ad Acitrezza

Sagra del Pesce spada di San Giovanni ad Acitrezza (Acicastello – giugno)

Dal 15 al 17 giugno 2012 ad Acitrezza, nota località a nord del comune di Acicastello, è stata celebrata la 23° “Sagra del Pesce spada”, che normalmente si tiene in occasione dei solenni festeggiamenti in onore del Santo Patrono San Giovanni Battista.

Castello di Acicastello - foto: Vincenzo Raneri

Acitrezza è molto nota nella mitologia, per il fatto che si è sempre detto che i faraglioni del suo mare siano stati lanciati da Polifemo al fuggitivo Ulisse, dopo che questi accecò il suo unico occhio.

Ma la storia di Acitrezza inizia con la dominazione spagnola in Sicilia: agli inizi del ‘600 la “Terra di Trezza” era una zona disabitata nella quale alcuni mercanti della città di Aci Aquilia (che nel 1642 avrebbe preso il nome di Acireale) tenevano vasche di acqua stagnante (le “gurne”), per farvi macerare lino e canapa e lavorarli come cordame.

Nel 1639 la comunità di Aci Santi Antonio e Filippo ottenne di staccarsi da Aci Aquilia e quindi venne data in feudo alla famiglia dei principi Riggio (o Reggio) di Campofiorito, noti popolarmente come “i Principi di Jaci“.

La “Terra di Trezza” era lo sbocco a mare del feudo, una fascia di pochi chilometri disabitata ed incuneata tra Capomulini e il Castello di Aci (entrambi rimasti sotto il dominio della città di Aci Aquilia), ed il Principe Stefano Riggio si adoperò per crearvi, di fronte ai faraglioni, un piccolo scalo marittimo al servizio commerciale di tutto il feudo; per cui alla fine del ‘600 costruì un piccolo molo ed una chiesetta, che venne ultimata nel 1687 e subito distrutta dal terremoto dell’11 gennaio 1693; quindi, nel 1996 ne venne costruita subito un’altra, che venne dedicata a S. Giovanni: è quella tuttora esistente al centro del paese di Acitrezza.

Non esisteva ancora una strada costiera tra Acireale e Catania, che erano collegate soltanto mediante una carrozzabile che passava sulle colline, attraverso Valverde e Nizeti: la costiera (quella che è ora la strada statale 114) fu costruita solo nel 1835.

Alla fine del Settecento la dinastia dei Riggio si impoverì e in breve scomparve definitivamente dal panorama pubblico della zona. Intanto, la Sicilia, dopo essere appartenuta per breve tempo ai Savoia (dal 1713 al 1718), era tornata sotto il dominio spagnolo e poi, dal 1816, formò con il regno di Napoli il regno delle Due Sicilie.

Nei primi decenni dell’Ottocento il governo borbonico attuò nella zona un riassetto amministrativo in seguito al quale, nel 1828, Acitrezza (assieme a Ficarazzi) fu separata dal Comune di Aci S. Filippo e venne aggregata a quello di Acicastello.

Con il progredire dell’Ottocento, via via che scomparivano i maceratoi per la lavorazione di lino e canapa, l’economia di Acitrezza andò orientandosi sempre più decisamente verso la pesca, ma con risultati economici molto limitati, che a malapena permettevano la sopravvivenza dei pescatori e delle loro famiglie.

Panorama sul mare di Acitrezza -- foto: Vincenzo RaneriA metà dell’Ottocento la popolazione era di circa 750 abitanti raggruppati in circa 250 famiglie. La popolazione restò pressoché invariata fino agli inizi del Novecento. Per la maggior parte del Novecento, l’attività dei pescatori, via via più agevolata dalla diffusione dei motori come propulsori di pescherecci sempre più grandi, fu la principale fonte di reddito del paese. Poi, verso la fine del ‘900, mentre crescevano in maniera imponente le dimensioni del commercio ittico, Acitrezza registrò un fortissimo sviluppo edilizio, spesso disordinato, sia per la costruzione di vari alberghi sia per la realizzazione di numerosi gruppi di “villini” destinati in gran parte ad ospitare catanesi sempre più attratti dai valori paesaggistici della zona. Nell’ultimo ventennio, infine, l’industria turistica è andata ampliandosi affiancando agli alberghi numerosi esercizi di ristorazione e ritrovi di svago che costituiscono, specie in estate, un costante motivo di attrazione per quanti abitano o visitano la vicina città di Catania.

La fama delle bellezze del paesaggio di Acitrezza cominciò a diffondersi in tutt’Europa tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Se ne fecero portavoce i “viaggiatori” del cosiddetto “Grand Tour“, cioè gli uomini di cultura soprattutto francesi, tedeschi e inglesi, che all’antica destinazione di Roma cominciarono ad aggiungere alla fine del sec. XVIII il meridione d’Italia.

Un grande editore francese, l’Abbé de Saint-Non, pubblicò a Parigi, tra il 1781 e il 1786, un’opera monumentale, il “Voyage pittoresque à Naples et en Sicile“, che descriveva le località più belle dell’Italia del Sud illustrandole con 411 disegni. L’opera dedicava in particolare ad Acitrezza due tavole: una che raffigura i faraglioni (con la rocca di Acicastello lontano sullo sfondo) e l’altra che mostra, tra due faraglioni, la rocca di Acicastello e un veliero.

Il monumentale album di incisioni ebbe un eccezionale successo commerciale e diventò patrimonio delle biblioteche degli uomini di cultura di tutt’Europa. Ancora nella seconda metà del Settecento l’architetto francese Jean Houel, pittore di corte di re Luigi XVI, giunse in Sicilia e ne riportò a Parigi disegni ed acquerelli che, tra l’altro, raffiguravano l’isola e i faraglioni antistanti Acitrezza. Le opere di Houel ora sono esposte in varie pinacoteche francesi e nel museo russo dell’Ermitage a San Pietroburgo.

E prima ancora che finisse il Settecento arrivò in Italia anche il più grande poeta tedesco, Wolfgang Goethe, che restò incantato dalla Sicilia e annotò nel suo diario: “L’Italia senza la Sicilia non lascia alcuna traccia nell’anima: è qui la chiave di tutto”. Il diario, con il titolo “Viaggio in Italia”, venne poi pubblicato più di quarant’anni dopo la conclusione del viaggio, nel 1829.

Tramonto sui faraglioni di Acitrezza

Lo scrittore Giovanni Verga ambientò ad Acitrezza la vicenda del suo romanzo più famoso, “I Malavoglia”.

L’opera, ritenuta un grande capolavoro del “verismo”, racconta le vicende di una famiglia di pescatori oppressi dalla miseria. Venne pubblicata nel 1881. Lo sviluppo della storia abbraccia un periodo di circa dieci anni a cavallo del 1870, epoca nella quale la spedizione dei Mille aveva da poco debellato il Regno dei Borboni e la Sicilia era passata sotto il dominio nazionale dei Savoia.

La barca attorno alla quale ruota il destino amaro dei protagonisti del libro, la “Provvidenza”, è l’imbarcazione più celebre di tutta la letteratura italiana. La famiglia sfortunata dei Toscano e la loro “casa del nespolo” rappresentano emblematicamente una condizione sociale di sofferenza che opprime anche gli altri pescatori del paese e, in generale, il mondo dei lavoratori sfortunati e rassegnati, un mondo che Giovanni Verga guarda e raffigura con una infinita addolorata pietà.

Nella visione di Verga, molto attenta alla situazione sociale dell’epoca, “I Malavoglia” era il primo volume di un ciclo letterario dedicato ai “vinti” dalla vita. L’insieme doveva comporre una sorta di “Commedia umana”, un grande affresco, ad intonazione decisamente pessimistica, delle “degradazioni” umane ai vari livelli sociali, dalla miseria anche morale degli ambienti più poveri all’avidità o alla colpevole ignavia delle classi più abbienti.

La seconda tappa di questo ciclo letterario fu costituita dal romanzo “Mastro don Gesualdo” (pubblicato nel 1889), ma del terzo libro, “La duchessa di Leyra”, ambientato a Palermo, lo scrittore siciliano compose solo un capitolo. Gli altri libri ideati da Verga (che dovevano intitolarsi “L’onorevole Scipioni”, ambientato a Roma, e “L’uomo di lusso”, ambientato a Firenze) non vennero scritti.

Verga, deluso per l’accoglienza momentaneamente “distaccata” della critica letteraria verso “I Malavoglia” e “Mastro don Gesualdo” (che però successivamente, nel corso del Novecento, sarebbero stati riconosciuti universalmente come grandi capolavori), negli ultimi decenni della sua vita si chiuse in uno sdegnato “silenzio produttivo”. Non valse a riconciliarlo con gli ambienti letterari neppure la nomina a Senatore del Regno concessagli nel 1920 da re Vittorio Emanuele III.

Lo scrittore morì a Catania, dove era nato il 2 settembre del 1840, il 27 gennaio del 1922.

Acitrezza ha dedicato a Giovanni Verga la piazza principale, dove nel 1939 è stato apposto un altorilievo, dello scultore Mimmo M. Lazzaro, che raffigura alcune donne in attesa del ritorno dei pescatori dopo una tempesta (con la citazione verghiana “E quei poveretti sembravano tante anime del purgatorio…).

Nella stessa piazza, nel 1999, è stata impiantata anche una stele con un busto dello scrittore che ha reso universalmente celebre il paese di Acitrezza.

Ma veniamo alla sagra.

Il porto di AcitrezzaSi tratta della pantomima del pesce a mare, u pisci a mari, rito propiziatorio, parodia della pesca del pesce spada che si svolgeva nello stretto di Messina.

Culturalmente legata ad una ben più ampia area del bacino del Mediterraneo, nella ricorrente tradizione di Cola pesce, la pesca del pescespada rappresenta, per il popolo protagonista, l’incessante confronto con gli elementi naturali.

Sino al 1870, il paese veniva addobbato con pennoni e bandiere e illuminato con lanterne di terracotta, alimentate ad olio d’oliva.

Alla vigilia della festa, i popolani mangiavano le fave nuove, perché ritenevano facessero scontare loro i peccati. Alcuni raccoglievano l’erba puleggio, i cui vapori lenivano i dolori facciali, mentre altri, specie chi aveva una malattia agli occhi, facevano il bagno il giorno di S. Giovanni Battista.

Le donne e i bambini, per adempiere ai voti fatti durante l’anno, indossavano (ed ancora oggi lo fanno) dei capi colore rosso, con decorazioni gialle e un nastro bianco, che circondava loro la vita.

La sera della vigilia di S. Giovanni, al termine della processione, aperta da un tamburo battente, il sacerdote, che portava le reliquie del santo, si fermava sulla piazza antistante la chiesa e, in un’atmosfera di grande suggestione, benediceva il mare.

Intorno al 1822, in occasione della festa, si racconta che i trezzesi rappresentavano la “conquista di Algeri”, il bombardamento e l’assalto di alcune fortezze turche da parte della flotta cristiana, episodio saliente dell’impresa di Carlo V nel 1541.

Oggi la pantomima si è vestita di altri colori. Tra le bancarelle stracolme di oggetti, carrettini traboccanti di arachidi e ceci tostati e assordanti fuochi d’artificio, c’è sempre una folla enorme a vedere e a tifare sulla piazza e su tutto il lungomare, quando arriva “u raisi”, chi dirige la pesca e fa agitare il pubblico. I pescatori sono i pescatori del paese, conoscitori del mare, ed anche “u pisci” è rappresentato da un pescatore o il figlio di uno di loro, in ogni caso, un nuotatore esperto.

Rappresentazione "alla conquista di Algeri" ad Acitrezza

I colori protagonisti sono il rosso, il giallo, il bianco delle barche ed il blu ultramarino del mare. “U pisci” si nasconde sotto e tra le barche, mentre “u raisi”, su da uno scoglio lancia i segnali e urla le frasi antiche dei pescatori in dialetto, aiutando ai marinai a catturare il pesce.

Alcuni pescatori, vistosamente ornati in rosso, con marcata gestualità iniziano la calata della barca. Il loro compito è quello di arpionare u pisci, un provetto nuotatore che furtivamente s’immerge nello specchio di acqua teatro della pantomima, nascondendosi tra le numerose imbarcazioni. In uno scenario scandito dalle urla della gente, ha così inizio la pesca.

U Raisi, dall’alto di uno scoglio, avvista la preda, lancia segnali, urla frasi arcaiche ed incita i marinai a catturarla.

Alla fine il pesce-uomo viene “ferito” ed il suo sangue tinge l’acqua di rosso. “U pisci” sembra davvero finito, ma a pochi metri dall’approdo fugge definitivamente. La folla grida, i pescatori capovolgono la barca ed anche i giovani spettatori si tuffano nel mare scintillante – è così che finisce ogni rappresentazione della continua lotta dell’uomo per sopravvivere in questi luoghi. Una cosa da non perdere, emozionante e particolare, che vi farà venire la voglia del pesce spada grigliato per Il pesce, dopo vari tentativi, viene preso e levato a bordo, ma riesce a scappare.

I pescatori imprecano, si accapigliano e u Raisi, disperato, si getta in acqua.

L’inseguimento del pesce si ripete e questa volta la preda viene ferita e catturata, macchiando di rosso il mare.

Trancio di pesce spada Durante la sagra si offre il pesce spada ai turisti

Due pescatori tengono saldamente il pesce-uomo per le braccia e le gambe e minacciano di squartarlo con una grande mannaia. Urlano la bontà delle carni. Ma a pochi metri dall’approdo il pesce fugge definitivamente, scomparendo tra i flutti. Poi, tra l’entusiasmo generale, i pescatori capovolgono la barca e ritornano a terra in un gioco di spruzzi che coinvolge tutti gli spettatori.

La sera, presso lo Scalo di Alaggio vengono installate tre grandi griglie, in cui viene cucinato sulla carbonella, da parte di cuochi esperti, una enorme quantità di pesce spada, pescato nei giorni precedenti dalle “spadare” trezzote.

Vengono posizionati enormi contenitori di ottimo vino bianco locale e di fragrante pane di casa.

E si maniga a volontà !


Nelle case i Trizzoti si spingono ad organizzare cene per gli amici venuti da fuori paese ed un menù fra i più frequenti potrebbe è il seguente:

Carpaccio di pesce spada
Tartare di pesce spada e limone
Maccheroni o busiate con pesce spada e melanzane
Pesce spade alla griglia sulla carbonella

ed ecco le ricette


Carpaccio di pesce spada

Carpaccio di pesce spadaAffettate il pesce spada molto sottile, mettetelo in una ciotola e cospargete con abbondante succo di limone.

Fate marinare il pesce spada per mezz’ora.

Scolate dal sughetto e condite con olio e pepe macinato fresco.

Mettere su un piatto da portata sopra una insalatina mista.


Tartare di pesce spada e limone

Tartare di pesce spada e limoneMescolate 200 grammi di pesce spada tagliato a cubetti sottili, la scorza grattugiata di un limone o meglio di un bergamotto e 2 cucchiai di olio d’oliva, condite con sale e pepe a piacere e, se volete diminuire il sapore intenso del pesce, aggiungete il succo del limone o del bergamotto.

Quando servite, guarnite con qualche fogliolina di menta.


Maccheroni o busiate con pesce spada e melanzane

Maccheroni o busiate con pesce spada e melanzaneTagliate un paio di melanzane nere a dadini, mettete in uno scolapasta e aggiungete un poco di sale, sovrapponendovi un piatto con una bottiglia sopra.

Dopo un paio di ore, schiacciate uno spicchio di aglio e buttatelo in una padellallona con oolio extravergine di oliva, soffriggendo fino a doratura. Rimuovete lo spicchio d’aglio dorato ed asciugate l’olio in eccesso .

Tagliate il 300 grammi di pescespada a pezzetti e saltatelo nella stessa padella di prima per un minuto; subito dopo aggiungete mezzo bicchiere di vino bianco secco e fate evaporare a fuoco lento.

Quando, il vino è evaporato, aggiungete le melanzane fritte leggermente, salando e pepando.

Nel frattempo, fate bollire l’acqua per la pasta (maccheroni o busiate) e, quando è cotta, scolatela e saltatela insieme con le melanzane e pesce spada.

Servite con pepe nero appena macinato (opzionale) e un bicchiere di vino bianco (praticamente obbligatorio).


Pesce spade alla griglia sulla carbonella

Pesce spade alla griglia sulla carbonellaPreparate la carbonella a fuoco medio-alto.

In una ciotola, sbattete dell’olio extra vergine di oliva, qualche foglia di menta e qualcuna di prezzemolo, il succo di un limone e qualche spicchio di aglio tagliato in due e mescolate

Condite la miscela di olio d’oliva e limone con sale e pepe, a piacere.

Spennellate le fette di pesce spada con la suddetta salsa e ponete sulla griglia infuocata.

Dopo qualche minuto rigirate dall’altro lato (a seconda dello spessore delle fette) e tenete per qualche altro minuto.

Alla fine trasferite le fette nei piatti e metteteci sopra qualche cucchiaio della suddetta salsa e servite, decorando con qualche pezzo di limone.