Lo scrittore siriano Farouk Mardam-Bey nel suo bellissimo libro “La cucina di Ziryab” scrive:
Il carciofo è la più misteriosa delle verdure. E anche la piü femminile, e senza dubbio una cosa spiega l’altra. Mentre le verdure di sesso maschile, come il cetriolo, l’asparago o il porro, non si peritano di esibire ai quattro venti la loro arrogante virilità, il carciofo, al contrario, per pudore innato, se non per civetteria, fa di tutto per nascondere la propria intimità sotto sottane e merletti, pieghe e panneggi. Per accedervi, i suoi amanti devono per prima cosa togliergli tutti questi fronzoli, a uno a uno, delicatamente, lentamente. prendendosi il tempo necessario. Allora il carciofo offre loro il suo cuore carnoso, quella parte che i francesi, in epoche meno pudibonde, non chiamavano come adesso <<fond>>, ma designavano molto appropriatamente, a causa delta consistenza setosa e della forma arrotondata, con la parola <<cut>>.
Non è tuttavia per la sua femminilità, come si può facilmente indovinare, che il carciofo è stato a lungo proibito in Francia alle ragazze di buona famiglia. Il Cynara scolymus, che nel XVI secolo aveva attraversato le Alpi proveniente dall’Italia, era considerato, al pari di altre piante fino ad allora sconosciute, come il pomodoro, un potente afrodisiaco. All’epoca, e un fatto, questo tipo di ghiottonerie era molto di moda, e l’esempio veniva dall’alto: secondo la comica testimonianza di Brantôme, dalla regina madre in persona, Caterina de’ Medici, assai incline alla scappatella. Costei aveva dunque una passione per i cibi creduti a torto o a ragione stimolanti, come i cuori di carciofo e le creste di gallo, tanto che, nel 1575, durante un banchetto di nozze rischiô di scoppiare. Questo non bastò comunque a ostacolare l’esaltante carriera del carciofo. Si racconta per esempio che a Parigi, sotto Enrico IV, i venditori ambulanti di frutta e verdura ne vantavano ancora le incomparabili virtù <<per il signore e per la signora>>. Ma la <<signora>>, che quando mangiava carciofi veniva mostrata a dito, sarebbe stata abbastanza arguta, come prova una poesia popolare detta metà del XVIII secolo, da rivolgersi al <signore> in questi termini:
Mangiali tu, amore mio,
cosi meglio mi faranno
che se li mangiassi io.
Questa seducente reputazione ovviamente non poggia su alcunché di solido. Ed è un puro caso che Enrico VIII, colui che fondò davanti all’Eterno la Chiesa anglicana, consumasse mogli e carciofi con eguale appetito. Certo, nel mondo islamico, Rhazes aveva attirato I’attenzione sugli effetti stimolanti del prezioso ortaggio sin dal X secolo, nel suo Libro dei correttivi degli alimenti. Ma non ho letto da nessuna parte né mai ho sentito dire che i califfi, sultani o re delle nostre parti, che pure avevano tutti il temibile obbligo morale di soddisfare un intero harem, ne abbiano fatto largo uso. Mi chiedo del resto se il kangar di cui parta Rhazes fosse davvero il carciofo. E mi pongo Ia stessa domanda di fronte a termini come harshaf, kharshaf kharshuf qinariya… Quanto al ‘akkub, che compare nell’opera del geografo palestinese Muqaddasi, e che il mio amico André Miquel traduce con <<carciofo>>, sono sicuro che si tratta di un cardo spinoso, e per altro delizioso, lo stesso che insanguinava le mani di mia nonna quando si ostinava a prepararcelo!
Veniamo così a un altro mistero del carciofo: quello delle sue origini. In effetti, attraverso i secoli, nei paesi di lingua araba sono stati dati nomi diversi a una stessa pianta o famiglia di piante, che potevano o meno essere identiche al carciofo, e a volte, al contrario, un solo nome a ogni sorta di acanti, cardi e carciofi selvatici o coltivati. Sfido chiunque a raccapezzarsi fra queste piste orribilmente confuse, prima per colpa degli stessi botanici, da Diosconide a Ibn al-Baytar, quindi dei loro traduttori, e infine della coorte dei commentatori, i quali. inutile dirlo, non hanno affatto contribuito a fare chiarezza. Quel che mi sembra piü o meno certo, in questo ginepraio, e che il carciofo è nato nell’Africa del Nord, da un cardo selvatico, e che sono stati i nostri cugini maghrebini ad allevarlo e prendersene cura. Erano interessati alle costole più che alla testa, somigliante a quella del cardones, altro cardo commestibile. Gli andalusi, incontestati maestri giardinieri, hanno cercato in seguito di ingrandirne Ia testa. come lascia intendere, atta fine del XII secolo, l’agronomo sivigliano Ibn al-’Awwäm. Dalla Spagna, quel che ormai conviene senz’altro chiamare carciofo passô in Sicilia, e quindi a Napoli, donde arrivò a Firenze net 1466. La parola araba al-harshaf, o al¬kharshaf designante il cardo, divenne alcarchofa in spagnolo. articcioco in lombardo, artichaut in francese. Nel XIX secolo riscoprendolo at termine di questa lunga evoluzione, gli arabi del Levante lo chiamarono ardishoki, parola veramente geniale perché chiude il ciclo delle derivazioni arricchendone al tempo stesso il significato, dato che il termine -shoki (come shawk, spina) rinvia per assonanza all’ascendenza spinosa del carciofo.
Non c’è da meravigliarsi, in queste condizioni, se il Maghreb è oggi, con l’Italia, l’area in cui il carciofo è più valorizzato. Questo è anche vero per il cardo, che i francesi, sfortunatamente, hanno troppo trascurato, malgrado l’avveduto consiglio di Grimod de la Reynière, che nel suo Almanach des gourmands lo definisce <<il nec plus ultra della scienza umana>>. Secondo lui, <<un cuoco capace di fare un piatto di cardi squisiti può intitolarsi primo artista d’Europa>>. Di cuochi siffatti non ne esistono più, in Europa, o molto pochi, ma ce ne sono in Marocco, dove il tãgin ai cardi. qanariya, è tanto raffinato che viene utilizzato per controllare Ia qualità dell’olio d’oliva nuovo. E che dire del tãgin ai cuori di carciofo selvatico, con eventuale aggiunta di fave verdi o piselli. se non che si tratta di uno dei piatti più prelibati che esistano sul pianeta terra ? Per prepararlo, ci vogliono indubbiamente molto coraggio e abnegazione, perché questo tipo di carciofo somiglia a una corona di spine, ma alla fine del calvario c’è il Paradiso. Tuttavia, se non siete disposti a sacrificarvi per i vostri convitati, pur volendo far loro piacere, non esitate a tentare il tagin ai carciofi coltivati o lo spezzatino tunisino ai carciofi (gannarivva) e limone, insaporito col peperoncino rosso, o ancora i cuori di carciofo (qarnun) all’algerina farciti di carne tritata, cipolla e prezzemolo, il tutto amalgamato con un uovo e aromatizzato col pepe nero e la cannella. Ho visto Ia mia vicina di Costantina metterli in una pirofila, arricchirti con polpette preparate con lo stesso ripieno. e poi cuocerli in una salsa di pomodori freschi. Una ricetta diversa dalla nostra, ma che non ha nulla da invidiarle.
Non andate ora a pensare, vedendomi celebrare le virtù dei carciofi maghrebini, che sottovaluti quelli francesi. Al contrario, non ne conosco di migliori, e neppure di equivalenti, salvo forse i pinzimoni italiani, che si lasciano sgranocchiare senza tante moine, crudi con un pò di sale. Se vivete perciò nel paese di Ronsard, grande appassionato di carciofi e cuori di carciofo egli stesso, usate e abusate, variando le ricette, dei violets del Midi, dei camus di Bretagna, dei gras verts di Laon. Il carciofo è sempre saporito, divertente, ricco di vitamine, povero di calorie, coleretico, diuretico, e molte altre cose ancora. E se non è veramente afrodisiaco, lo può diventare. Basta crederci.
Cosa aggiungere ancora?
Fra le varietà più famose si annoverano il “Paestum” (carciofo IGP proveniente dall’omonima città della magna grecia di Capaccio-Paestum), lo Spinoso sardo (coltivato anche in Liguria con il nome di Carciofo spinoso d’Albenga), il Catanese, il Verde di Palermo, la Mammola verde, il Romanesco, il Violetto di Toscana, il Precoce di Chioggia, il Violetto di Provenza, il violetto di Niscemi. Le varietà di maggiore diffusione in passato erano il Catanese, lo Spinoso sardo e il Violetto di Provenza, fra i tipi autunnali forzati, e il Romanesco e il Violetto di Toscana fra quelli primaverili non forzati. Lo Spinoso sardo, una delle varietà più apprezzate nel mercato locale e in alcuni mercati dell’Italia settentrionale ha subito un drastico ridimensionamento dagli anni ’90 a causa della ridotta pezzatura media dei capolini e della minore precocità di produzione rispetto ad altre cultivar più precoci (Tema, Terom, Macau, ecc.).
Tre sono le “capitali del carciofo” in Sicilia e precisamente: prima di tutto Niscemi (CL) e poi Cerda (PA) e Ramacca (CT), ove da decenni nel mese di aprile si celebra la Sagra del carciofo.
I produttori di Niscemi infatti, con aziende sparse nel territorio del Comune ed in quelli circostanti, realizzano oltre la metà della produzione siciliana che costituisce la metà di quella italiana. Se l’Italia quindi è la prima produttrice mondiale di carciofo, con un indice di produttività del 54% sul totale planetario, gli agricoltori niscemesi producono carciofi per oltre il 12%. Ciò serve a rendere l’idea di quanto possa essere diffusa la coltura nel territorio e le grandi prospettive e potenzialità di sviluppo che attendono di essere stimolate con l’istituzione di consorzi ed altre organizzazioni associative di produttori.
L’anno scorso sono stato a Ramacca ed ho assistito ad uno degli spettacoli folcloristici più attraenti ( e non solo per tutte le bontà che è stato possibile assaggiare), con tutta una serie di manifestazioni e spettacoli, degni delle migliori tradizioni, animati da una moltitudine di entusiasti volontari.
Si sarebbe potuto costruire il seguente menù:
Ed ecco le ricette:
L’’irresistibile profumo dei carciofi arrostiti, che spesso per la strada, promana dai bracieri di ambulanti, fa sibito venire voglia di organizzare una comitiva di amici per festeggiare qualcosa e raccontare barzellette o storielle più o meno vero, attorno al braciere, con l’unico pensiero fisso di stabilire il punto giusto della cottura per iniziare il fatidico rito della spinnulata delle dolci foglie del carciofo “arrustutu”.
Lasciate circa due centimetri di gambo e tutte le foglie esterne.
Condite l’interno dei carciofi, tra una foglia e l’altra, con abbondante sale, pepe nero, prezzemolo grossolanamente tritato ed un generoso spicchio di aglio tagliato in due e schiacciato.
Giusto prima di porli sulla brace riempite l’interno fino all’orlo di olio extra vergine di oliva.
Cuoceteli sulla brace non troppo viva per circa 15-30 minuti in dipendenza dalla forza del fuoco.
Alla fine, dopo averli ripuliti dalle foglie bruciate dalla brace, poggiate il carciofo su una fetta di pane e iniziate a staccate le foglie, portandola ognuna fra denti per strapparne il millimetrico strato di polpa, mentre l’olio aromatizzato dalla cottura imbibisce il pane, per cui alla fine avrete un’opera di sublime completezza.
Pulite i carciofi togliendo le foglie esterne più dure e la parte dura del gambo.
Tagliate in quarti e passateli nel limone per evitare che si anneriscano prima di esser cotti.
Una volta puliti ed affettati, infarinateli abbondantemente.
Versate dell’olio extravergine di oliva in una padella dal fondo spesso, quando è ben caldo versateci i carciofi e cuoceteli bene da ogni lato rimestando spesso.
Nel frattempo sbattete delle uova con sale e pepe e con una grattata abbondante di pecorino romano. Versate le uova sui carciofi, aggiungete qualche foglia di basilico e lascia rapprendere la frittata da un lato; poi, con l’aiuto di un piatto, giratela e lasciatela rapprendere anche dall’altro lato.
Tagliate sottilmente una cipolla e soffriggetela con poco olio in una pentola abbastanza capiente.
Aggiungete eventualmente poca acqua per portarla a cottura.
Sbriciolate un poco di mollica di pane non molto raffermo e, quando la cipolla è cotta, versatelo in padella e fatelo dorare.
Mettete il composto a raffreddare direttamente in un frullatore.
Tagliate sottilmente i carciofi, compresi i gambi, e passarli in padella con poco olio.
Cuoceteli bagnando con una spruzzata di vino bianco e un poco di acqua.
Insaporiteli con un pugnetto di prezzemolo tritato, un cucchiaio di pasta di acciughe, sale e pepe.
Quando sono freddi versarli nel frullatore insieme al pane e alla cipolla, aggiungere un uovo e un poco di parmigiano.
Date quindi qualche colpo di frullatore per amalgamare il tutto, badando bene a non farlo diventare una poltiglia.
Aggiustare di sale e pepe e preparare tante polpette tonde e basse, passarle nell’uovo sbattuto e nel pangrattato e friggerle in abbondante olio.
Mondate, lavate e tagliate i carciofi a spicchietti sottili, poneteli in una casseruola, unite una manciata di capperi, una di olive nere di Gaeta, uno spicchio di aglio, 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, coprite con un filo d’acqua, incoperchiate e fate cuocere in modo che i carciofi restino croccanti.
Poco prima della fine cottura aggiungete il prosciutto tagliato a dadini.
Regolate di sale, facendo attenzione che i capperi e il prosciutto sono piuttosto sapidi.
Lessate gli strozzapreti, fateli saltare velocemente nel sugo ai carciofi, aggiungete pecorino grattugiate e servite caldi.
Lavate i carciofi, togliete le foglie dure più esterne fino ad ottenere i cuori formati solo da foglie chiare e tenere.
Tagliateli a metà, eliminate il fieno, riduceteli a spicchietti e metteteli in acqua acidulata con mezzo limone. Se vedete che è abbastanza tenero, utilizzate anche i primi 8-10 centimetri del gambo, togliendo la parte esterna più coriacea con un pelapatate, tagliandoli a pezzi e mettendo anch’essi nell’acqua acidulata.
Lavate un mazzetto di prezzemolo, selezionate le foglie e tritatele con la mezzaluna su un tagliere assieme a mezzo spicchio d’aglio spellato.
Scaldare del brodo vegetale.
In una padella fate imbiondire uno spicchio d’aglio in un cucchiaio d’olio, quindi toglietelo.
Lasciate raffreddare per qualche istante l’olio fuori dal fuoco, unite i carciofi ben scolati e fateli saltare a fuoco vivo per un paio di minuti.
Abbassare il fuoco, aggiungete un mestolo di brodo, un cucchiaino di aglio e prezzemolo tritato e lasciate proseguire la cottura per 15 minuti circa.
Se il fondo di cottura dovesse asciugarsi troppo aggiungete altro brodo vegetale.
A fine cottura regolate di sale, lasciandoli un po’ insipidi
Mentre cuociono i carciofi, preparate la salsiccia, tagliandola a tocchettini di 3 o 4 centimetri e disponendola in una capace padella senza alcun condimento. Punzecchiarla con uno stuzzicadenti e mettere sul fuoco. Saltate la salsiccia in padella a fiamma vivace fintanto che non prende uniformemente colore, quindi unite il vino. Fate riprendere il bollore, coprite e cuocete a fiamma media per 5 minuti.
Scoperchiate, alzate la fiamma e fate ben dorare i pezzetti di salsiccia.
Inclinate la padella e con un cucchiaio togliete il fondo di cottura.
Unite i carciofi, amalgamate bene su fiamma vivace per qualche istante, unite un’abbondante grattugiata di pepe e servite, decorando con il prezzemolo tritato rimasto.
Dicono che questa ricetta sia segreta…
Preparate i cannoli secondo la ricetta tradizionale (che mi pare di aver riportato nel menù arabo).
Quindi preparate una normale crema pasticciera.
Pulite dei carciofi, prendendo dei cuori di carciofo ben puliti tagliati, che cuocerete al vapore finché siano teneri e poi frullerete delicatamente nel mixer con un poco di latte fino ad ottenere una crema omogenea, che aggiungerete alla crema pasticcera quando è ancora tiepida, omogeneizzando i due composti.
Quando il tutto si raffredda, con una lama si lavora la crema e si riempie il cannolo.
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