Menù Romano (241 a.c. – 440)

Teatro romano Tindaris

Menù Romano (241 a.c. – 440)

Passato alla storia come uno dei più grandi condottieri greci, Pirro si rivela in tutta la sua abilità di capo contro Roma, nel 280 a.C., quando ottiene diverse vittorie, subendo anche perdite insanabili. Nel 278 a.C. Pirro giunge in Sicilia, e precisamente a Taormina, dove caccia i cartaginesi.

Reperti Romani a Tindari (ME)Soltanto nel 276 a.C. i romani lo sconfiggono definitivamente a Benevento, ponendo fine al suo desiderio di espansione. Ma già nel 285 a.C. Gerone II, attaccato e sconfitto dalla flotta cartaginese, si è alleato con i romani fornendo loro l’occasione tanto attesa di penetrare nell’isola. Inizia, in questo modo, il grande scontro tra le due potenze per la supremazia sul Mediterraneo. Su richiesta degli abitanti di Messina, in attrito con Siracusa, Cartagine invia in città un piccolo presidio militare nel 265 a.C., ma ciò suscita il malcontento dei cittadini, i quali, a loro volta, richiedono una guarnigione romana che occuperà Messina l’anno successivo.

In questo modo si arriva alla prima guerra punica (264-241 a.C.) – perché i cartaginesi erano anche chiamati Puni -, che mette l’una contro l’altra le due grandi potenze del Mediterraneo: Roma ha la meglio nello scontro a terra e costringe gli avversari a ritirarsi nel Lilibeo e a Trapani, vero e proprio porto franco data la totale inesperienza marittima dei romani, la cui lingua era carente persino di vocaboli nautici.
Nel 262 a.C. sono conquistate anche Segesta e Agrigento.

Catania, p.zza Stesicoro A Milazzo (Mylae), nel 260 a. C., il console Caio Duilio riesce ad ottenere un successo imprevisto grazie anche al fatto che i cartaginesi avevano sottovalutato del tutto l’ingegnosità del nemico: un esempio delle straordinarie capacità belliche dei romani è dato dall’uso dei cosiddetti corvi, i ponti mobili muniti di raffi a becco di corvo, con i quali si agganciavano le navi nemiche, per permettere all’equipaggio di attaccare l’avversario come sulla terraferma.

Soltanto sotto il console Caio Lutazio Catulo (241 a.C.) Roma riesce a sconfiggere definitivamente i cartaginesi di Annone, alle isole Egadi. A garantire questo risultato è la superiorità militare, ma anche politica e organizzativa, dimostrata da tutta la federazione italica, di fatto, la classe dirigente romana non era all’altezza del suo stesso compito: il cuore del Mediterraneo non pulsava più come ai tempi di Cartagine e ne è testimonianza la condizione politico-sociale vissuta nella provincia di Sicilia.
Si arriva così al 218 a.C, anno della seconda guerra punica. Le basi di appoggio romane sono Messina e Lilibeo, ma tutta la Sicilia viene coinvolta, e gli abitanti si dividono tra gli avversari.

Le terme romane di Centuripe Parecchi si ribellano alla potenza romana, ma senza successo; questo forte sentimento anti-romano si diffonde anche a Siracusa, che viene attaccata dal console Claudio Marcello.
Alla difesa di Siracusa contribuisce l’ingegno di Archimede, che induce una forte frustrazione nei romani, incapaci di prevederne le mosse in guerra. Tuttavia Claudio Marcello si esprime in tutta la sua brutalità, distruggendo Megara e domando la rivolta di Enna.

Siracusa invece viene conquistata nel 212, quando muore lo stesso Archimede. Nel 201 a.C. termina la seconda guerra punica, con la sconfitta di Annibale a Zama (nord Africa).
La nuova realtà trasforma radicalmente la vita sociale e politica del paese: si forma il latifondo come fenomeno economico e strutturale, mentre piccoli appezzamenti riempono gli spazi esistenti tra i “latifundia” e i pascoli.

La presenza romana si consolida nell’isola al termine della terza guerra punica (146 a. C.) e, dopo la distruzione di Cartagine, iniziano le grandi rivolte degli schiavi.
La prima rivolta degli schiavi si fa risalire al 139 a. C. e interessa la città di Enna.
La classe degli schiavi è piuttosto eterogenea: prigionieri di guerra, uomini e donne liberi di alto rango che parlano il greco, agricoltori e pastori, lavorano i latifundia e vivono in miseria.

Le rivolte causano danni notevoli, ma la Sicilia ricostituisce presto le sue ricchezze e fa da sfondo anche nella guerra civile tra Bruto e Cassio, e i triunviri Antonio, Ottaviano e Lepido, quando a Sesto, figlio di Pompeo, viene riconosciuto, dai triunviri, il potere sull’isola, sulla Sardegna e sulla Corsica (39a. C.).
Ma l’accordo non dura a lungo e si giunge alla battaglia di Anzio (31 a. C.) con Ottaviano capo incontrastato dell’impero.

Mosaici di Piazza Armerina Per tutta l’età imperiale, in Sicilia nessuno aveva avuto la volontà di farsi avanti e iniziare la carriera amministrativa, ma ciò nonostante le classi medie e alte si distinguevano nella ricchezza e nello sfruttamento delle terre.
Questa prosperità era la base per attività quali il commercio, le industrie navali e l’esportazione.

Le vestigia romane risultano meno numerose e spettacolari di quelle ritrovate durante la dominazione greca, dato lo scarso interesse che Roma mostra per la Sicilia rispetto agli altri territori da lei conquistati. Infatti, una volta passato il pericolo di una potenziale invasione cartaginese, l’isola perde il suo carattere strategico e viene unicamente apprezzata per le sue risorse agricole.

Questo “magazzino romano del grano” è quindi per molti secoli una delle tante province occupate da Roma, senza alcuna particolare attrattiva per i suoi amministratori.
Malgrado ciò, i ricchi proprietari terrieri edificano splendide ville in riva al mare, come testimoniano le rovine della villa patrizia di Patti nei pressi di Tindari.
Solo alla fine del III sec. d.C., sotto Diocleziano, questa provincia romana viene eletta al rango di regio suburbicaria, divenendo una delle regioni più ambite dall’aristocrazia romana, che vi acquista grandi proprietà fondiarie.
Durante i sette secoli d’occupazione, Roma non offre alla Sicilia prestigiosi monumenti, ma costruisce vari edifici pubblici tipicamente romani (anfiteatri, terme, odeon … ) ed un’efficace rete stradale utilizzata per scopi prima militari e poi semplicemente economici.
Alcune zone pubbliche urbane (come ad esempio i fori) non sono ancora oggi completamente conosciute.

I Romani introdussero le tecniche di conservazione sotto sale, che dovevano conservare gli alimenti da trasportare in tutte le province dell’impero. Nacquero così i salsamentieri, coloro che vendevano carni e pesci conservati sotto sale.

Esistevano tre tipi di pane: pan nero (di farina setacciata), pani secundarius (più bianco) ed il pane di lusso (panis candidus, mundus), il pane dei ricchi.

Un saluto da Enzo Raneri


E adesso presentiamo il menù romano:

• Omelette al latte (in lingua latina = Ova sfongia ex lacte)
• Lumache al tegame
• Coppa arrosto con salsa al pepe
• Cassata di Oplontis


Omelette al latte (in lingua latina = Ova sfongia ex lacte)

Omelette al latte -- foto: Vincenzo Raneri Dal De re coquinaria di Marco Gavio Apicio, l’unico di cui siano rimaste notevoli testimonianze scritte delle sue opere gastronomiche si ha:

“Ova quattuor, lactis eminam, olei unciamin se dissolvis ita ut unum corpus facies.

In patellam subtilem adicies olei modicum, facies ut bulliat et adicies impensam quam comparasti.
Una parte cum fuerit coctum, in disco vertes melle perfundis , piper aspargis et inferes.”

che tradotto in italiano significa:

Mescola 4 uova, un‘emina (271 ml) di latte, un’oncia d’olio in modo da fare un corpo unico.

Metterai in una padella sottile un po’ d’olio, farai in modo che frigga e aggiungerai la mistura che hai preparato.

Quando sarà cotta da una parte la girerai in un piatto, cospargi di pepe e servirai.


Lumache al tegame

Lasciate un chilo e mezzo di lumache (preferibilmente di vigna) per due giorni a spurgare.
Lumache al tegame -- foto: Fabrizio Raneri Passato questo tempo, mettetele a bagno in un grosso catino pieno d’acqua, con abbondante sale e aceto.
Ripetete più volte quest’operazione durante la quale verrà a galla molta schiuma.

Appena l’acqua sarà pulita dalla schiuma, ponete le lumache in un tegame con abbondante acqua fredda e su fuoco molto moderato, appena vedrete che le lumache sono fuoriuscite dal guscio, alzate la fiamma in modo che cuociano senza rientrare nel guscio.

Dopo quest’operazione estraete le lumache dal guscio e mettetele in una ciotola.
Fate soffriggere nell’olio, l’aglio e appena tende a scurirsi gettatelo via, versate nel tegame 4 acciughe salate diliscate e tagliate a pezzetti e un poco di peperoncino, appena le acciughe si sono sciolte, insaporite di sale e cuocete per qualche minuto. Unite al sugo le lumache e cuocete a fuoco moderato per 30 minuti abbondanti.

Questo piatto deve essere servito ben caldo.


Coppa arrosto con salsa al pepe

Coppa arrosto con salsa al pepe -- foto: Vincenzo Raneri Accendete il forno a 150°.
Preparate il sale aromatico, frullando sale grosso, qualche grano di pepe nero, rosmarino, salvia, alloro, mirto e aglio.

Massaggiate bene con il sale aromatico un bel pezzo di coppa di maiale del peso di circa due chili, fasciatela con la pancetta tagliata a fette sottili e legate con spago da cucina.
Mettete in un tegame di coccio da forno a bordi bassi un poco di olio extra vergine di oliva e la carne, mettete su fuoco medio/alto e fate dorare la carne su tutti i lati e bagnate con un bicchierino di brandy.
Appena l’alcool sarà evaporato circondate la carne con una decina di spicchi d’aglio in camicia, incoperchiate bene il tegame e infornate.

Lasciate cuocere e girando la carne ogni ora circa.
Se occorre, bagnate con pochissimo brodo, ma se il calore è basso non dovrebbe servire. In tutto lasciate cuocere 4 ore.
Al momento di servire passate al setaccio il fondo di cottura, schiacciando bene l’aglio ormai in purea e usate la salsina ottenuta per nappare la carne che servirete tagliata a fettine accompagnata da una bella insalatina fresca.


Cassata di Oplontis

In un affresco del triclinio estivo della Villa di Poppea (seconda moglie dell’imperatore Nerone) ad Oplontis (una località vicino a Torre Annunziata, fra Pompei ed Ercolano), miracolosamente salvatosi dalla famosa eruzione del 79 d.C., viene raffigurato un dolce dalla incredibile somiglianza con la moderna cassata, il tradizionale dolce siciliano a base di ricotta e zucchero.

Affresco del triclinio estivo della Villa di Poppea (Torre Annunziata) -- foto: Fabrizio Raneri Non esiste una ricetta di tale dolce e la ricetta che segue è stata ricostruita in base al suddetto affresco, agli ingredienti esistenti all’epoca ed ai dettami della pasticceria antica.

Mettete 800 grammi di ricotta di pecora in un recipiente e con una frusta rendetela più cremosa possibile, dopodiché aggiungetevi pian piano 150 grammi di miele integrale ed incorporatelo alla ricotta.
Sminuzzate in piccoli pezzi 30 grammi di pinoli, 30 grammi di noci sgusciate, 70 grammi di albicocche secche, 70 grami di cedro candito, 30 grammi di uva passita; 40 grammi di datteri snocciolati.

Aggiungete la frutta al composto di ricotta e miele.
Impastate due rossi d’uovo, 100 grammi di farina di mandorla e 50 grammi di succo di lamponi, stendendo una sfoglia con il matterello.

Disponete la sfoglia rossa in uno stampo rotondo e versate il composto di ricotta, miele e frutta all’interno dello stampo rendendolo uniforme.
Decorate al centro con 4 fichi canditi; 4 noci sgusciate; 4 datteri interi; 4 albicocche essiccate.

Cassata di Oplontis -- foto: Fabrizio Raneri Mettete in luogo molto fresco (i romani avevano le celle frigo con il ghiaccio, oggi va bene il frigorifero) per un paio di ore.

Potete assaggiare questo dolce nel più rinomato ristorante di Pompei (Il Principe), ove 20 anni fa ho trascorso diversi mesi di lavoro all’interno degli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano e della stessa Villa di Poppea.

Chissà se i romani non sperimentarono in Sicilia questo dolce, poi messo meglio a punto dagli arabi e dai monsù?