Menù dell’unità d’Italia (1860-1922)
Pasta con la borragine
Menù dell’unità d’Italia (1860-1922)
Pare che, nel maggio del 1860, i Borboni non usarono i cannoni contro i due battelli dei garibaldini, per non distruggere gli stabilimenti vinicoli del lungomare che producevano il Marsala.
Garibaldi apprezzò molto quel vino dolce che ancora oggi ne porta il nome (la sigla “DG” che si vede sulle bottiglie di Marsala significa proprio “Dolce Garibaldi”), tanto da chiamare Marsala la cavalla regalatagli da un marsalese, la stessa cavalla che lo portò fino a Caprera.
Il 1860 fu l’anno in cui la popolazione di Sicilia, a maggioranza del 99,5% si pronunciò a favore di una nazione italiana unificata sotto la guida di Vittorio Emanuele II nel plebiscito indetto in ottobre dallo stesso Garibaldi.
Questo suffragio universale è stato molto discusso; tra l’altro la percentuale del 99,5% viene messa in dubbio da qualunque storico moderno e studioso di statistica.
La storia successiva e il sorgere della questione meridionale dimostrano la possibile inconsistenza di quella affermazione.
Erano dati ufficiali, forse creati ad arte, a tavolino, e non verificabili; infatti l’analfabetismo dei molti non rendeva né pensabile, né attuabile alcun controllo.
Dopo il referendum, i braccianti e i contadini, affamati dai proprietari terrieri e taglieggiati dai gabellotti (persone che, insieme ai massari o ai fattori, gestivano i terreni dei latifondisti siciliani, con metodi violenti e circondandosi di cosche di scagnozzi prezzolati) ripresero entusiasticamente speranza, ritenendo imminente la distribuzione delle terre dei latifondi.
Ma non fu così. Il Conte Camillo Benso di Cavour, che aveva fretta di concludere, scavalcando Garibaldi e le sue promesse, impose le leggi piemontesi alla Sicilia, che, di fatto, risultò annessa al regno di Piemonte.
Venne ignorato del tutto che la Sicilia godeva già di leggi proprie e di una certa autonomia sotto il regno dei Borboni e che lo stesso Garibaldi premeva perché fossero mantenute le sue promesse.
Inoltre, le tasse si erano aggravate, senza tener conto dell’estrema povertà degli isolani e soprattutto era stata imposta con durezza la coscrizione obbligatoria: in un mondo contadino in cui il numero di braccia era quello che faceva la quantità di raccolto, il toglierne per il lungo servizio militare riduceva molte famiglie alla disperazione.
Inoltre i renitenti e i disertori dandosi alla macchia, bollati come banditi, finivano con l’ingrossare le fila della malavita.
La “nuova” organizzazione amministrativa della regione, spezzettata in piccole province, e la creazione di ben quattro organismi di polizia, unita al dilagare della corruzione tra gli stessi funzionari finirono col favorire gli intrallazzi, i taglieggiamenti e le guerre tra bande.
E’ in questo periodo che compare in maniera evidente il termine mafia, la quale esisteva già da tempo, ma ora viene “ufficializzate” come mezzo di potere dei proprietari terrieri per domare i lavoratori, e diventa piano piano anche il mezzo mediante il quale le autorità impotenti a governare il territorio tengono a freno ogni velleità di rivolta.
Anche il politico inizia a capire che gli conviene fare patti di mutuo interesse con il mafioso locale.
Questi amministra la sua giustizia, anche sommaria, risolvendo problemi che l’amministrazione venuta dal nord non riesce neanche ad inquadrare, sopperisce, col suo paternalismo interessato, a risolvere problemi che lo stato invece accentua e agli occhi del “povero siculo” risulta quindi piu’ efficiente e “giusto”.
E’ forse questa l’origine della sfiducia verso lo stato, che appare lontano e vessatorio.
I notabili locali e le vecchie classi dirigenti si adattarono presto alle nuove regole e ne divennero presto convinti fautori, proprio per mantenere i vecchi privilegi.
Nel 1863, la Sicilia si trovò sotto la legge marziale del generale Govone e con la facoltà di fucilare la gente sul posto.
Venne preferita infatti la repressione sommaria e dura, arrestando la gente senza processo ed usando anche la tortura per vincere l’omertà.
Ciò che di fatto mancava alla Sicilia allora come nel passato era una classe borghese colta e “illuminata” che sapesse cogliere le occasioni migliori; al suo posto invece permaneva quella classe sonnolenta e sfruttatrice che viveva sperperando le rendite del latifondo in cui torme di poveri, ignoranti e sfruttati, contadini vivevano al limite basso della miseria.
Non c’era stata in Sicilia alcuna rivoluzione francese a cambiare le cose e l’Inquisizione era stata abolita solo mezzo secolo prima.
Inoltre, il nuovo Stato, peraltro, era restio ad investire in Sicilia: ad esempio, dal 1862 al 1896 vennero investiti per opere idrauliche al nord 450.000.000 contro soli 1.300.000 in Sicilia. Mentre nel resto d’Italia si moltiplicavano le linee ferroviarie la Sicilia ebbe la sua prima, brevissima, Palermo-Bagheria solo nel 1863. Scriveva Francesco Saverio Nitti nel suo libro “Nord e Sud” che lo stato, nel 1900, spendeva 71,15 lire annue per abitante in Liguria e solo 19,88 per abitante in Sicilia, tutto ciò mentre sul totale di lire 111.569.846 di debito pubblico dello stato il Piemonte concorresse per 61.615.000 lire e la Sicilia solo per 6.800.000 lire.
Furono anni in cui avvenne un progressivo spopolamento, per fame, delle campagne.
Le città relativamente piu’ ricche, soprattutto quelle della costa orientale, con l’afflusso costante di gente in cerca di lavoro proveniente dall’interno, videro incrementare la loro popolazione e con essa i loro problemi sociali.
La popolazione di Catania che nel 1861 era di 68.810 abitanti, nel 1880 aveva gia superato le 90.000 unità.
In quest’ultima città erano avvenuti consistenti investimenti a partire dagli anni settanta nel settore industriale della raffinazione dello zolfo che si avvantaggiava della presenza del porto per la sua commercializzazione.
Fu così che, mentre perdurava il banditismo e il malessere sociale, nacquero nel 1892, dopo un congresso operaio a Palermo, i Fasci dei lavoratori. Presto venivano reclamate la divisione delle terre ai contadini e la soppressione dei “gabellotti”.
Nel 1893 scoppiarono gravi sommosse nell’isola; la componente anarchica sfociava in eccessi e ciò diede al Crispi, divenuto capo del governo nel 1894 il motivo per scatenare una durissima repressione (a cannonate) e lo scioglimento dei “Fasci”.
Il sottosviluppo, l’analfabetismo,l’alta mortalità infantile e la malaria uniti alle spaventose e disumane condizioni di lavoro in tutte le province della Sicilia fecero sì che il governo nazionale,a partire dal 1882, incentivasse l’emigrazione verso il nord America, soprattutto gli Stati Uniti e il verso il Brasile e l’Argentina nel sud America.
Le statistiche affermano che tra il 1871 e il 1921 quasi un milione di siciliani abbiano lasciato l’isola.
Un saluto da Enzo Raneri
In questo quadro storico, un menù siciliano dell’Unità d’Italia, non certo di signorotti e gabellotti, sarebbe potuto essere questo:
• Cuzzoli di pasta fritta salate
• Pasta con la borraggine (pasta chi vurrani)
• Trippa e patate
• Cuzzoli di pasta fritta dolci
Vediamone le ricette:
Cuzzole di pasta fritta salate
Impastate in un recipiente con un poco di acqua tiepida mezzo chilo di farina, venti grammi di lievito, un pizzico di sale e mettete a lievitare per circa tre ore.
Successivamente formate delle pizze e mettetele a friggere in una padella con olio bollente, schiacciandole con una forchetta e cuocendole sui due lati.
Appena cotte e tolte dalla padella, spruzzare con un poco di sale.
E’ il piatto preferito da mia figlia.
Pasta con le borragini (pasta chi vurrani)
La borragine è una pianta annuale che cresce allo stato spontaneo nei Paesi Mediterranei.
Proveniente dall’Europa e dal Nord Africa ed è conosciuta per i suoi bellissimi fiori blu brillante a forma di stella.
Contiene fitoestrogeni associati con il suo uso tradizionale per aumentare il latte materno nelle puerpere e per regolare la funzione ormonale.
Erba ricca di minerali essenziali, quali calcio e potassio, acido palmitico e tannini, e acidi grassi essenziali Omega-6, acidi gammalinoleico (24%) e acido linoleico (38%) necessari per una corretta funzione cardiovascolare e a mantenere pelle e unghie sane.
Importante è la sua funzione diuretica, espettorante e anti-infiammatoria, inoltre agisce sul sistema nervoso grazie alla sua abilità di prevenire, curare e alleviare la depressione.
In cucina è un erba con un sapore simile a quello del cetriolo.
Infatti le foglie fresche sostituiscono i cetrioli in alcune insalate, nelle minestre e zuppe aggiungono un sapore caratteristico, insaporiscono the’ freddo e bevande alla frutta.
Borragine deriva dalla parola celtica “borrach” che significa coraggio.
Infatti l’erba, aggiunta al vino, veniva data da bere ai guerrieri per affrontare i nemici in battaglia.
Pulite e lavate più volte 500 grammi di borragine e fatela lessare in una pentola con 1 litro e mezzo d’acqua.
Versate quindi mezzo chilo di pasta e fate cuocere, avendo cura di regolare il liquido affinché non si presenti assai brodoso.
Aggiustate di sale, versate tutto in una zuppiera, aggiungendo prima di servire a tavola, un poco di caciocavallo grattugiato e olio extravergine d’oliva.
Trippa con patate
Pulite bene un chilo di trippa, tagliandola a striscioline e detergendola in acqua bollente leggermente salata, per 20 minuti.
Scolatela e risciacquatela più volte in acqua corrente fredda.
Mettete a cuocere in abbondante fredda e cuocete incoperchiato per circa due ore e mezzo.
Lavate un chilo di patate, pelatele e tagliatele a dadini.
In un tegame fare rosolare con dell’olio una cipolla, aggiungete la trippa e fare cuocere a fuoco basso per circa 10 minuti; salate e aggiungete il vino rosso e le patate.
Lasciate cuocere il tutto per circa 50 minuti, aggiungendo se necessario qualche cucchiaio d’acqua calda.
Prima di togliere dal fuoco insaporire con una spruzzata di origano.
Cuzzoli di pasta fritta dolci
E’ quasi la stessa ricetta dell’antipasto, solo di forma diversa e finale diverso:
era il piatto preferito da mia nonna materna, che era originaria di Mascali.
Impastate in un recipiente con un poco di acqua tiepida mezzo chilo di farina, venti grammi di lievito, un pizzico di sale e mettete a lievitare per circa tre ore.
Successivamente formate delle pallottole e mettetele a friggere in una padella con olio bollente.
Appena cotte e tolte dalla padella, spruzzatevi sopra un poco di zucchero.