Menù del dopoguerra (1947 -1960)
Un possibile, gustoso ma economico, menù per un siciliano del dopo guerra.
Menù del dopoguerra (1947 -1960)
Negli anni Trenta, a sostegno delle imprese belliche, la Sicilia venne letteralmente spremuta per la produzione di grano; questa pratica di coltivazione intensiva a scapito della diversificazione delle colture, elemento vitale per l’economia siciliana, impoverì il terreno e causò l’erosione del suolo.
Durante la seconda guerra mondiale la Sicilia fu il primo lembo di territorio italiano a essere invasa dagli Alleati, nel luglio 1943. Da questo momento i bombardamenti sulle città si fecero serrati, Messina in particolare, che ancora non si era ripresa dal devastante terremoto del 1908, fu pesantemente colpita, prima che le truppe alleate arrivassero alle sue porte il 18 agosto.
Nel dopoguerra lentamente la Sicilia tentò di risollevarsi. Intanto, però, riprendeva forza il separatismo, che cominciava a organizzarsi in bande armate violente, finanziate dai più potenti proprietari terrieri. Fu per rispondere e, in qualche modo, tamponare, il fenomeno, che nel 1946 alla Sicilia fu riconosciuto lo statuto speciale di regione autonoma, dotata di un proprio parlamento.
L’autonomia non riuscì tuttavia a sanare le divisioni e i conflitti dell’sola, e la mafia e i vecchi proprietari terrieri più reazionari si scatenarono usando la violenza contro quella che ritenevano la maggiore minaccia al loro potere: il comunismo. L’apoteosi di questo delirio ci fu il 1° maggio del 1947, a Portella della Ginestra, dove durante una manifestazione organizzata in occasione della festa dei lavoratori, 11 persone furono uccise e altre 33 ferite, si disse ad opera della banda di Salvatore Giuliano, ex capo di una delle bande armate separatiste, in seguito arruolato alla causa anticomunista.
Il potere occulto della mafia cominciava a farsi strada nelle città, diventando sempre più potente grazie ai suoi legami con il potere politico, le sue speculazioni edilizie, il contrabbando, il traffico di droga e il pizzo, ancora oggi molto diffuso.
Nel 1950, al tempo della riforma agraria in Sicilia, fu creato l’Ente per la Riforma Agraria in Sicilia (Eras), al fine di evitare l’abbandono delle campagne e con l’obiettivo di espropriare i vecchi latifondi ed assegnarli ai contadini, che a canone agevolato e dilazionato, avrebbero potuto riscattare il terreno.
Per i proprietari che volontariamente offrivano in vendita i loro terreni, erano previste agevolazioni.
E dalle mie parti, la contessa Maria Maiorca Mortillaro, cedette 748 ettari del suo feudo posto tra Novara di Sicilia e Francavilla di Sicilia al prezzo di 22.800.000 lire. La Regione Siciliana vi costruì 164 abitazioni in sette villaggi (chiamati “borghi”, Schisina, San Giovanni, Bucceri-Monastero, Pietra Pizzuta, Malfìtana, Piano Torre, Morfia), tramite la ditta Arcovito di Messina, per una spesa poco inferiore al miliardo di lire.
Furono assegnate per sorteggio, con annesso appezzamento di terreno tra i due e i sei ettari, ma subito dopo 64 contadini rifiutano l’assegnazione delle terre, mentre gli altri 100 che accettarono, rifiutarono di stabilirsi in loco con le famiglie. Pertanto i villaggi rimasero vuoti. Il perché di tutto ciò venne spiegato dal fatto che benché i contadini fossero nullatenenti e poverissimi, le case a loro assegnate erano costituite da due soli locali, composti da una cucina di quattro metri per quattro e una stanza da letto di tre metri e mezzo per tre metri, senza luce elettrica, perché a quel tempo non era stata ancora costituita l’ENEL, e la SGES società in concessione non intendeva elettrificare le campagne. Inoltre nelle abitazioni non era stata prevista l’acqua corrente. Nelle case faceva caldo d’estate e freddo d’inverno, a causa del tetto delle casette, che a 700 m.s.l.m. venne realizzato a terrazza. In caso di pioggia le case venivano allagate, in quanto il loro pavimento era ad un livello uguale a quello del terreno esterno. Infine stalla e fienile, erano piccoli ed avevano gli stessi problemi delle abitazioni. I terreni assegnati, essendo stati da sempre adibiti solamente a pascolo, avevano bisogno di opere di bonifica, che però erano fuori dalla portata, sia economica e sia tecnica, dei contadini. Molti di essi, non potendosi permettere di lasciare un lavoro sicuro di braccianti, per un’impresa più grande delle loro poche forze, dovettero rinunciare. Chi accettò, ebbe solo per poco tempo l’assistenza dell’Eras, poi furono lasciati soli. Oltre a tutto questo, l’area interessata era frammista ai pascoli, lasciati in mano ai vecchi proprietari, le cui greggi sconfinavano nelle concessioni agricole danneggiandole. Dopo circa dieci anni, nel 1960, solo pochissime abitazioni erano abitate saltuariamente, nella stagione dei lavori agricoli. Di 164 alloggi erano abitati a Malfitana solo 2, a Borgo San Giovanni 4, a Piano Torre 9. Il resto era deserto.
Col passare degli anni anche queste le abitazioni vennero abbandonate ed i villaggi passarono nel patrimonio del comune di Francavilla di Sicilia, che fino ad oggi non ha trovato la possibilità di un loro reimpiego.
Oggi i villaggi sono meta di amanti del motocross e soft air.
Come mangiavano i siciliani del dopoguerra? “Siciliani a tavola: itinerario gastronomico da Messina a Porto Empedocle” edito da Longanesi, fu nel 1970 il primo compendio di cucina siciliana: fu preparato dal duca Alberto Denti di Pirajno, il quale nacque a La Spezia il 7 marzo 1886 e morì a Roma il 15 gennaio 1968, mentre non aveva ancora completato la stesura dell’opera, la quale fu poi completata da Massimo Alberini: Siciliani a Tavola
L’excursus inizia a Palermo, in una trattoria di cui nel 1987 fui uno degli ultimi avventori, il Fico d’india in Via Emerico Amari (di li a poco ci fu nel locale una tragica sparatoria). Nel libro vengono individuati i caratteri del mangiare siciliano dell’epoca, con riferimento a preparazioni di cucina popolare, che stentavano ad abbandonare gli influssi operati dai Monzù. Ciò non di meno, risulta importante il fatto che in periodi caratterizzati dalla penuria di disponibilità economiche, nella maggior parte dei casi, tutte rimane affidato alla cultura contadina, abituata a gestire i pochi mezzi avuti a disposizione per la sopravvivenza nei secoli.
La storica rivista “Cucina Italiana” che ormai acquisto mensilmente dal mese di maggio del 1992, ma che già nel 1929, anno in cui fu fondata, vendeva circa 100.000 copie ad un prezzo popolare (50 centesimi) e si rivolgeva al ceto medio urbano, badando sempre sia ai sapori che al portafoglio, aveva il seguente motto “Mangiare meglio, spendere meno”.
Un possibile, gustoso ma economico, menù per un siciliano del dopo guerra potrebbe essere:
• Frittata con ortiche
• Spaghetti con aglio, olio e peperoncino
• Polpette di pane al sugo
• Biscotti “ccà liffia” (con la glassa)
Ed ecco le ricette:
FRITTATA CON ORTICHE
L’importante è che utilizzate dei guanti: comunque posso dirvi che si soffre un poco solo dopo per mezzo minuto dopodiché ci si abitua (Epicuro docet).
Punte di ortica (1 bel mazzetto), uova (n. 6-8), burro (30g), formaggio grana grattugiato (2 cucchiai), sale e pepe (q. b.)
Lavare bene le punte di ortica.
Mettere poca acqua in una casseruola e portarla a ebollizione.
Scottare le punte di ortica nell’acqua bollente per pochi minuti, scolarle e strizzarle.
Riunire le uova in una ciotola, salarle e sbatterle leggermente.
In una padella insaporire le punte di ortica con il burro e versarvi sopra le uova.
Insaporire la frittata con il grana e un pizzico di pepe.
Dopo circa 5 minuti, voltare la frittata e finire di cuocere.
SPAGHETTI CON AGLIO, OLIO E PEPERONCINO
In un tegamino scaldate l’olio e, a fuoco dolce, soffriggetevi l’aglio tagliato a fettine sottili e il peperoncino sminuzzato.
Quando l’aglio ha preso un deciso colore dorato, salate poco e spegnete.
Ritirate, aggiungete un ciuffo di prezzemolo tritato.
Lessate gli spaghetti al dente, scolateli e conditeli caldi.
POLPETTE DI PANE AL SUGO
Per le polpette: 2 uova (di galline allevate all’aria aperta), 4 cucchiai di pangrattato, 1 fetta di pancarrè senza bordi, 4 cucchiai di parmigiano (facoltativo), basilico in foglie.
Rosolate uno spicchio d’aglio con l’olio in una padella, aggiungendo della passata di pomodoro, sale, pepe, un bicchiere d’acqua e lasciate cucinare fino a quando la salsa non avrà una consistenza densa.
In una ciotola sbattete due uova, aggiungete il sale e mescolatele al pangrattato, le fette di pancarrè senza bordi e già sbriciolate, insieme al parmigiano e alle foglie di basilico sminuzzate. Aiutandovi con un cucchiaio, prendete parti di questo impasto e lasciatele scivolare dentro una padella con dell’olio già caldo.
Fate dorare queste polpettine da ambo i lati e, appena cotte, toglietele dall’olio e ponetele su un foglio di carta assorbente. Infine, immergetele nella salsa precedentemente preparata e fatele cuocere a fuoco lento per circa 10 minuti per farle insaporire.
Servitele calde, guarnendole con del basilico fresco.
BISCOTTI “CCA’ LIFFIA” (con la glassa)
x 30 biscotti
Setacciate 500 g di farina 00 con 150 g di zucchero e 15 g di ammoniaca , fate una fontana al centro ed unire semi di anice, qualche chiodo di garofano ridotto in polvere 100 g di strutto, due uova ,cominciare a lavorare il tutto come una frolla, appena le uova saranno quasi incorporate unite il liquore all’anice, tanto quanto basta per ottenere un composto liscio ed omogeneo (potete mettere un po’ di liquore all’anice o un po’ di latte), impastate per bene.
Create con la pasta dei bastoncini non troppo fini, tagliare a tocchetti lunghi circa 15 cm, dare la forma, per tradizione si fanno a ciambella, ad S oppure a treccina, nel caso della treccina ripiegate in due il cordoncino ed arrotolate le due estremità.
Fate dei taglietti alle estremità in modo che sembrino più decorativi, ponete su una placca da forno foderata con della carta da forno, spennellate con dell’uovo battuto, se si desidera inzupparli nel latte è questo il momento di decorarli con delle codette colorate o con delle noci tritate, ponete in forno e cuocete a 180 gradi per circa 20 minuti.
Per la Glassa:
300 g di zucchero al velo, due cucchiaini di amido di mais, 50 g di succo di limone.
Mettete in una ciotola 300 g di zucchero al velo, unite un po’ alla volta il succo di limone fino ad ottenere un composto liscio, omogeneo ma non troppo liquido, unite due cucchiaini di maizena e continuate a montare con lo sbattitore, spennellate sui biscotti, passateli nel forno per altri 5 minuti, estraeteli e date una seconda passata di glassa, riporre in forno per altri cinque minuti, passate la rimanente glassa, decorate con codette colorate e riponete nuovamente in forno per altri 5 minuti.
Tutto ciò serve per asciugare la glassa ed ottenere una glassatura un po’ più spessa, nel caso volesse meno glassa potete anche passarla solo una volta o fermarvi quando volete.