Menù Aragonese (1281-1513)

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Menù Aragonese (1281-1513)

La dominazione aragonese in Sicilia iniziò formalmente il 26 settembre 1282, quando Carlo I d’Angiò, sconfitto dai siciliani e dall’esercito di Pietro III d’Aragona nei Vespri siciliani, lasciò l’isola per rifugiarsi a Napoli.
Pietro II mantenne però divise le corone di Aragona e Sicilia.
In sua assenza nominò un luogotenente per sostituirlo.

Si avvicendarono così nella conduzione del regno Alfonso III d’Aragona, Giacomo II d’Aragona e Federico III d’Aragona: quest’ultimo fu eletto Re di Sicilia dal Parlamento Siciliano, riunito al Castello Ursino di Catania, allora capitale del regno fino al 30 agosto 1416. Il cosiddetto casato di Barcellona (a cui appartenevano tutti i regnanti d’Aragona) continuò fino al 1410., mentre il primo re del casato Trastamara fu Ferdinando I il giusto, che con la sua elezione come re di Aragona, Valencia e Catalogna, dichiarò la Sicilia provincia del regno aragonese. La vedova regina Bianca fu confermata “vicaria”. Il successore di Ferdinando I, Alfonso il Magnanimo nel 1434 permise la nascita a Catania dell’Università più antica della Sicilia o Siciliae Studium Generale e nel 1442 conquistò il Regno di Napoli assumendo il titolo di Rex Utriusque Siciliae e unificando anche formalmente i due regni. Gli ultimi due re sono gli stessi del regno d’Aragona: Giovanni I e Ferdinando II, che con le nozze con Isabella di Pastiglia unifica la corona di Sicilia a quella di Spagna. Con la morte del re Ferdinando II di Aragona il 23 gennaio 1516 la dominazione aragonese in Sicilia si concluse (sempre formalmente, perché la dominazione diventò spagnola).

Nella Sicilia indipendente, sotto gli Aragonesi si accentuò il regime feudale ed il latifondismo e, nonostante le continue guerre che si protrassero a lungo, i contadini poterono migliorare le loro condizioni di vita per l’accresciuta produttività della terra, il cui acquisto a enfiteusi o a colonia era solitamente favorito da franchigie di varia natura. Analogamente si ebbe una rinascita anche nelle città, che presero a ripopolarsi e divennero centri attivi di commerci e di traffici con rinomate fiere autorizzate dal sovrano (come quelle di Randazzo e Tindari).

E il periodo in cui nacque la caponàta: essa prese origine nelle case nobiliari o comunque abbienti, dove era previsto l’uso di pesce (in genere il polpo, od altro più pregiato, a trance), che, nelle case dei meno abbienti, fu sostituito dalle più economiche con le melanzane, il tutto in agrodolce. Di derivazione aragonese sono le torte salate farcite di verdure, pesci o carni, la doratura dei piatti, spennellandoli d’uovo e facendoli grigliare al forno, l’uso della canna da zucchero, con il quale prese forte sviluppo una nuova pasticceria conventuale e monacale (la pasticceria “laica” avrà inizio solo dopo il 1500).

Comunque è bene sottolineare che stabilire una precisa linea di demarcazione fra le influenze derivate dalla cucina araba e quelle invece riconducibili alla gastronomia aragonese è veramente difficile e sarebbe peraltro probabilmente fuorviante: infatti, la dominazione araba, si estese in eguale misura sia in Sicilia che in Spagna.

Un saluto da Enzo Raneri


Un menù di derivazione aragonese potrebbe il seguente:

• Caponata all’antica
• U tianu
• Coniglio all’agrodolce
• Biancomangiare (u biancu manciari)

e adesso vediamo nel dettaglio come si preparano.


Caponata all’antica

Caponata foto: Vincenzo RaneriCome riporta Carlo Brangiforti, nel suo bellissimo libro “L’ingrediente segreto”, in origine esisteva un piatto in cui il cappone era abbinato con i capperi, l’aglio e con altre verdure. Per i poveri, nei periodi di magro e sulle galere castigliane si sostituì il cappone col pane secco, con le parti meno ricercate del pesce e con le sue lische (tale pietanza si chiamava cappone di galera), conservando meglio il tutto con l’agrodolce  preparato con limone o sommacco o aceto (una interpretazione simile a quella data da Alberto Denti di Pirajno nel 1972 in “Siciliani a tavola” e da Juan De La Mata nel 1716 in “Arte de reposteria”).
Donde la “capponada ligure” (Del Bono 1751) e poi il “cappone di galera alla siciliana” (Francesco Leonardi 1790).

Una ricetta di caponata all’antica più “nobile”, viene fatta in questo modo:
infarinate e friggete alcune fette di capone e/o di palombo e/o di pesce spada, una decina di scampi sbucciati e un paio di calamari tagliati a rondelle.Soffriggete alcuni gambi di sedano tagliato a pezzetti insieme a due cipolle affettate, a 50 grammi di olive verdi snocciolate, a 30 grammi di pinoli e 50 grammi di uvetta sultanina.Non appena la cipolla diventa bionda, aggiungete due cucchiai di aceto e due di zucchero, facendo spumare lentamente per 5 minuti.

Infine aggiungete sale, pepe, un ciuffetto di basilico fresco tritato, un pugno di capperi e cucunci (frutti del cappero) dissalati e togliete dal fuoco e fate raffreddare. Aggiungete i pesci preparati in precedenza, mescolate bene e servite freddo. Successivamente, dopo l’arrivo della melanzana dall’India nel 1600, ed a tutt’oggi, tutti i pesci fritti vengono sostituiti con melanzane (possibilmente del tipo lungo) tagliate a dadi, salate, messe a sgocciolare e fritte e con peperoni tagliati a pezzi e fritti.


U tianu

U tianu foto: Vincenzo RaneriDal greco téganon = padella

Preparate un ragù soffriggendo nell’olio una cipolla affettata e 300 grammi di carne tritata e poi unendo 200 grammi di pisellini sgusciati, condite con sale e pepe e lasciate cuocere per circa un’ora.Lessate al dente 500 grammi di rigatoni.Prendete un tegame di coccio, ungete con olio, spolverate con pangrattato, versate i rigatoni conditi con il ragù, a cui avrete aggiunto 200 grammi di tuma a pezzetti, sbattete 4 uova unendoci 100 grammi di caciocavallo grattugiato e versate sopra i rigatoni, in modo che durante la cottura si formi una crosta dorata. Spolverate con cannella e pepe nero. Cuocete in forno almeno per circa un ora. Si può mangiare freddo o caldo.


Coniglio all’agrodolce

Coniglio all'agrodolce foto: Vincenzo RaneriTagliate un coniglio a pezzi, lavatelo, asciugatelo ed infarinatelo. Mettete sul fuoco una padella con olio e fate soffriggere lentamente in abbondante olio e strutto i pezzi di coniglio infarinati, finché anche l’interno sia ben cotto ed all’esterno prenda un bel colore dorato. Bagnate con un bicchiere di aceto nel quale precedentemente avevate diluito un cucchiaio di miele e fate prendere sapore.

A parte soffriggete per 15 minuti una cipolla tagliata finemente, un gambo di sedano a pezzetti, 100 grammi di olive verdi snocciolate, 30 grammi di uva sultanina e pinoli, un cucchiaio di capperoni dissalati, sale e pepe, aggiungendo una tazza di brodo. Quindi, appoggiatevi i pezzi di coniglio ed il sugo agrodolce ottenuto precedentemente e fate cuocere per altri 15 minuti.

Anticamente mia nonna, alcuni minuti prima di spegnere, aggiungeva anche un pugno di chicchi di melograno, splendido frutto che va scomparendo e che una volta veniva appeso al letto del neonato per preservarlo dalla strega: questa, avvicinatasi alla culla, doveva contare i chicchi per operare, ma inutilmente, perché non ne avrebbe avuto il tempo.


Bianco mangiare (u biancu manciari)

Bianco mangiare foto: Vincenzo Raneri
Versate un litro di latte intero in una casseruola piuttosto larga e antiaderente, aggiungetevi 3 cucchiai di zucchero e la scorza di un limone a freddo e poi, dopo aver acceso un fuoco moderato, amalgamate 5 cucchiai di amido di grano, mescolando continuamente.Subito dopo aggiungete due o tre pizzichi di cannella e continuate a mescolare, finché il composto non assume una consistenza cremosa.

Quindi foderate con uno strato della crema ottenuta una terrina di ceramica e aggiungete uno strato di biscotti e ancora uno di crema, fino a coprire del tutto i biscotti. Decorate con cannella Fate raffreddare e servite.