Via Francigena, Francisca o Romea, è parte di un fascio di percorsi, detti anche vie romee, che dall’Europa occidentale, in particolare dalla Francia, conducevano nel Sud Europa fino a Roma proseguendo poi verso la Puglia, dove vi erano i porti d’imbarco per la Terrasanta, meta di pellegrini e di crociati.
Nel 1994 la Via Francigena è stata dichiarata “Itinerario Culturale Europeo” assumendo, alla pari del Cammino di Santiago di Compostela, una dignità sovranazionale.
La strada nasce nel VI secolo per una necessità strategica delle popolazioni longobarde che avevano bisogno di collegare la loro città principale, Pavia, con i ducati centromeridionali di Spoleto e di Benevento, semicircondati da territori bizantini. L’esigenza di utilizzare una via sufficientemente sicura portò alla scelta di un itinerario sino ad allora considerato minore, che valicava l’Appennino in corrispondenza dell’attuale Passo della Cisa, e dopo la Valle del Magra si allontanava dalla costa in direzione di Lucca. Questo percorso prese il nome di “Via di Monte Bardone”, dall’antico nome del Passo della Cisa: Mons Langobardorum.
Dalla fine del VIII secolo, dopo la discesa in Italia di Carlomagno a seguito della chiamata di Papa Adriano I e l’annessione dell’Italia Settentrionale al Regno dei Franchi (774), il percorso iniziò ad essere conosciuto come Via Francigena, ovvero “strada originata dalla Francia”, e in una prima fase la sua destinazione finale iniziò ad essere identificata con Roma, sede del papato.
La Francigena non era propriamente una via, quanto piuttosto un fascio di vie, un sistema viario con molte alternative.
L’asse centrale, quello seguito da Sigerico, corrispondeva alla “via di Fiandra” (route de la Flandre), la via commerciale che collegava le regioni più ricche dell’Europa tardomedievale: l’Italia e le Fiandre, passando per la Champagne, dove si tenevano le omonime fiere internazionali.
Dalle Fiandre attraversava l’Artois (Arras), la Champagne (Reims), la Franca Contea (Besançon), valicava il Giura al Colle di Jougne, per arrivare a Losanna.
Quindi, percorrendo tutta la Valle di Susa, raggiungeva Torino e poi Chivasso e Vercelli, oppure costeggiava il Po, fino a Pavia, capitale dei Longobardi.
A Borgo San Donnino (l’odierna Fidenza) si lasciava la via Emilia e si risaliva la Val di Taro, passando per Fornovo e poi Cassio o Berceto, per poii giungere a Siena Attraverso Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Vetralla e Sutri (o in alternativa Ronciglione lungo la via Cassia Cimina), la valle di Baccano per poi, dopo aver deviato sulla via Trionfale nei pressi della Storta, giungere finalmente a Roma avvistando l’antica basilica di San Pietro in Vaticano dall’altura di Monte Mario (chiamato appunto per questo Mons Gaudii, il monte della gioia).
Da Roma il percorso seguiva per un lungo tratto la via Appia, verso Benevento, da cui s’imboccava la via Traiana (o via Appia Traiana) verso Bari, Brindisi e Otranto, i principali porti d’imbarco per la Terra santa.
Anche in Sicilia si sono costituite analoghe Vie Francigene, potendosene oggi identificare almeno quattro (fra loro interconnesse).
“Le Vie Francigene” permettevano, in origine, il collegamento dei porti principali con i centri di maggior grandezza: Palermo, ai tempi “Balarm”, come riferimento per la Spagna catalana e aragonese e per l’Italia continentale. Mazara del Vallo e Agrigento per l’Africa Settentrionale, Messina per quella centrale, l’Oriente e la Terra Santa.
Negli atti e nei diplomi normanni appaiono indicati confini poderali, limiti territoriali o lasciti e donazioni alle varie abbazie e santuari che riportano il toponimo di megale odos, basilike odos, magna via, via regia.
Sono i Normanni quindi a definire nei propri documenti queste vie.
Dalla Conca d’oro di Palermo alle valli sicane fino al mar Mediterraneo di Agrigento.
Da secoli, chi controlla il territorio ne controlla anche le vie di comunicazione, i ponti, i luoghi di dazio e dogana. La Magna Via nel corso del tempo ha stratificato molti nomi che testimoniano il passaggio e il controllo di genti venute da lontano.
Abbandonata da secoli, è stata ora ripristinata grazie al lavoro di varie associazioni e inaugurata ufficialmente grazie al comune di Castronovo in partenariato con altri 13 comuni e con la diocesi. Sono 160 km, divisi in tappe da 20-25 km ciascuna di avventura umana, in cui è possibile vivere e respirare un territorio, addentrandosi fra le vie, bussando alle porte, comunicando con i locali, prendendosi il tempo per entrare in contatto con il carattere autentico dell’Isola.
1 Palermo ➔ Santa Cristina Gela 25,4
2 Santa Cristina Gela ➔ Corleone 26,4
3 Corleone ➔ Prizzi 20,1
4 Prizzi ➔ Castronovo di Sicilia 24,5
5 Castronovo di Sicilia ➔ Cammarata / San Giovanni Gemini 12,5
Q1 Cammarata / San Giovanni Gemini ➔ Santo Stefano Quisquina 19,4
Q2 Santo Stefano Quisquina ➔ Cammarata / San Giovanni Gemini 17,6
6 Cammarata / San Giovanni Gemini ➔ Sutera 18,7
7 Sutera ➔ Racalmuto / Grotte 25,3
8 Racalmuto / Grotte ➔ Joppolo Giancaxio 19,9
9 Joppolo Giancaxio ➔ Agrigento 13,9
La Magna Via Francigena è interamente tracciata con la segnaletica convenzionale europea (paletti bordati di bianco e rosso e frecce a fondo bianco e punta rossa) accompagnata dai caratteristici viandanti delle Vie Francigene di Sicilia, raffiguranti un pellegrino con bisaccia, bordone, mantello e cappello a falde larghe.
La Magna Via Francigena storicamente era una delle direttrici più importanti di movimento per uomini, animali e trasporto delle cose. Lungo il cammino sono giunti i coloni Greci provenienti dalle isole dell’Egeo, i Romani e poi i Bizantini fino ai guerrieri Musulmani, che – dall’Africa settentrionale, dall’Arabia e dalla Spagna – invasero l’isola nel IX sec.
Questi ultimi trasformarono tutto il paesaggio, le strade e i villaggi. Furono poi i cavalieri Franchi – provenienti dalle coste della Normandia – a riportare il Cristianesimo nel territorio, edificando le chiese di rito greco e latino.
È per questo incrocio di popoli che la società siciliana di oggi è un mix culturale, le cui eredità sono ben evidenziate lungo il percorso della via Francigena.
Sulle montagne dell’Appennino siculo, tra Madonie, Nebrodi e Peloritani. Tra i parchi e le riserve orientate dell’isola alla scoperta della via percorsa dai re normanni, dai pellegrini diretti in Terrasanta e dai viandanti moderni.
Questa via, “per le marine”, diventando sempre meno sicura a causa degli attacchi saraceni e prende corpo in una variante “per le montagne” segnando il conseguente spostamento all’interno di una nuova viabilità che collega ancora oggi i centri del versante tirrenico della Sicilia. Nella documentazione moderna, questa via viene chiamata “Regia Trazzera Palermo-Messina delle montagne”, ma ne abbiamo attestazione sin dall’età di Ruggero II, quando Idrisi, il cartografo di corte, nel 1154 nel suo Libro di Ruggero, ne descrive il percorso: Palermo, Altavilla Milicia, Caccamo, Montemaggiore, Caltavuturo, Polizzi, Petralia Soprana, Gangi, Sperlinga, Nicosia, Troina, Maniace.
Da qui, verso Randazzo, si proseguiva per Messina attraverso Montalbano Elicona, Novara di Sicilia, Castroreale, S. Lucia del Mela, Monforte, Rometta. Oppure si avanzava verso lo Ionio attraverso il tratto che da Randazzo porta a Moio Alcantara, Castiglione di Sicilia e Francavilla di Sicilia, per giungere alle alture di Castelmola e Taormina e da qui, lungo l’antica litoranea, alla città dello Stretto.
Un percorso principale, per collegare l’antica Girgenti con Catania e l’alta valle del Simeto.
La via continua il suo andare seguendo il corso del Simeto, lungo il versante occidentale dell’Etna, tra campi fertili e sciare antiche di secoli. I castelli normanni di Paternò, Santa Maria di Licodia, Adrano e Bronte proteggono il percorso del pellegrino e testimoniano un controllo del territorio capillare che ha lasciato testimonianze architettoniche di valore che La via ha il suo termine in un incrocio viario che ieri come oggi, ci porta all’ombra dell’abbazia di S. Maria di Maniace, al suo portale altomedievale.
Non esiste mai una sola ed unica strada ma un fascio di vie che segue il paesaggio e si conforma al bisogno delle esigenze di chi le usa.
L’antica strada romana, la Via Valeria, che partiva dallo Stretto di Messina e giungeva al porto dell’araba Marsala, venne mantenuta in vita dal cammino dei mercanti e dei soldati che controllavano le coste, dall’accorrere dei pellegrini verso i porti d’imbarco per la Spagna e dal sistema di comunicazione viario che sempre più veniva strutturato dal Regno di Ruggero il Normanno.
Inizialmente seguendo i passi collinari che portano dalla Conca d’Oro di Palermo alle creste di S. Giuseppe Jato, si raggiunge la zona archeologica di Segesta e poi Alcamo e, tra le affascinanti piane coltivate a vigneto, si arriva fino alla possente Selinunte e quindi a Menfi, poi Sciacca e Ribera. Poi si prende per Cattolica Eraclea (l’antica Eraclea Minoa, la colonia greca di fondata dai Selinuntini e posta sul corso del fiume Platani, che per secoli divise la Sicilia greca da quella cartaginese). Si giunge a Montallegro e poi Siculiana, Realmonte (con le sue miniere di salgemma e la famosa Scala dei Turchi), per giungere brevemente ad Agrigento ed a Porto Empedocle.
Per chi volesse intraprendere uno di questi percorsi, ecco alcuni consigli per l’equipaggiamento giusto:
Durante i lunghi cammini, dovete ricordarvi di bere ogni giorno, da uno a due litri di acqua. Da portare con sé anche snack leggeri, frutta e frutta secca, cioccolata e miele. Una corretta alimentazione sportiva ti serve per essere più preparato a eventi di resistenza. In generale, dovresti seguire una dieta composta da 70% di carboidrati, 20% di proteine e 10% di grassi.
Sono da evitare, invece, come riferito in uno studio scientifico, le diete ricche di proteine, in quanto possono causare problemi di idratazione e possono sforzare i reni in condizioni di difficoltà alla deambulazione.
Però, chi mi conosce sa che camminare (ahimè) non fa per me, mentre invece sono molto più avvezzo ai percorsi gastronomici, ma non ne sapevo molto.
Anni fa venni casualmente a sapere che esisteva in commercio un libro intitolato “La cucina della via Francigena”, scritto dal Prof. Basilio ARONA (Troina – Via Nicosia, 13 0935 654761), sulle tracce del quale mi misi subito, ottenendo un incontro con lui a Troina per saperne di più sull’argomento.
E conobbi un autentico “scrigno di conoscenze” sulla Sicilia Antica: mi regalò tutta una serie di suoi libri, compreso il libro per il quale ero giunto fin li (ricordo che mi fece una carissima compagnia il Prof Bruno CARUSO, il quale ne rimase ugualmente entusiasta, intavolando con lui discussioni su argomenti certamente meno prosaici).
Il libro comprende una accurata raccolta di ricette, la cui conoscenza ci è stata tramandata dai Padri Basiliani, Francescani, Conventuali, Cappuccini, Agostiniani, Carmelitani e dalle Suore Benedettine e Clarisse e che il Prof. Arona ha minuziosamente ricostruito, attraverso lunghe ricerche d’archivio.
Come dice Carmela Cantale, “si scoprono cose remote, ciò che c’è di più vecchio; come se a raccontarle fosse un nonno alla propria nipotina, innamorata delle sue storie”.
Un libro che serve a non dimenticare la nostra identità, perché riscoprire la propria ORIGINE dà un tocco in più AL SAPER VIVERE BENE.
Quindi, limitatamente alla Via Francigena Palermo-Messina, ho voluto e potuto, ricostruire, sulla base delle indicazioni del Prof. ARONA, il relativo percorso gastronomico, riportando una ricetta che potrebbe essere significativa.
Ed ecco le ricette del Menu della via Francigena:
Nei secoli passati e soprattutto nel medioevo, la città di Palermo è stata una delle tappe principali del percorso che si snodava lungo la Sicilia fino a Messina e, da qui, proseguiva verso Roma, Santiago de Compostela e Gerusalemme.
L’antica trama viaria era utilizzata come via di pellegrinaggio e, per questo, era considerata parte della via Francigena. Lungo la via Francigena sorgevano numerose strutture, dette hospitalia, dove i pellegrini trovavano accoglienza e cure.
Fatta sciogliere 150 gr di sugna e raffreddata, rimescolare con 1 kg di farina maiorca e 300 gr di zucchero.
Si aggiungono quattro uova e sugna, e s’impasta lavorando bene la pasta. Si grattugia la scorza di un limone e si aggiunge 250 gr di lievito e si amalgama bene la pasta.
Bisogna farle lievitare per circa 12 ore e dopo si danno delle forme bizzarre e adatte al periodo.
Mettere in forno.
Ricetta del 1870.
Spinare e lavare un kg di sarde e asciugarle su un panno. Fare un composto con 200 gr di pecorino grattugiato, tre spicchi di aglio e un mazzo di prezzemolo tritati.
Prenderne un po’ e metterlo su ogni sarda, con un filetto di alici e un pezzettino di formaggio pecorino primo sale.
Coprire con un’altra sarda, passarle nell’uovo battuto precedentemente con un pizzico di sale e peperoncino, friggere in olio bollente.
Ricetta del 1859.
In un tegame di creta mettete l’olio e tagliate due cipolle Fatela arrossire.
Contemporaneamente mettete tre patate. olive e capperi, aggiungendo un po’ d’acqua.
Quando sono cotte, sciogliete lentamente delle conserve di astratto (di pomodoro) o di salsa in bottiglia; aggiungendo ancora dell’ acqua, quando la salsa è giunta a cottura, aggiungete il pesce stocco che avrete già fatte friggere a parte.
Fate bollire lentamente per un quarto d’ora (non di più, perché altrimenti s’indurisce). Con lo stesso procedimento si può cucinare il baccalà.
Correzione proposta
Contemporaneamente mettete olive e capperi, aggiungendo un po’ d’acqua.
Quando sono cotte, aggiungete ancora dell’ acqua, quando la salsa è giunta a cottura.
Preparare una normale salsa di pomodoro e la cipolla.
Abbrustolire 250 gr di pangrattato insieme al quattro acciughe dissalate e soffriggete con mezza cipolla e uno spicchio di aglio, dopo unire due mazzetti di finocchietti selvatici, precedentemente lessati e tagliati finemente, ed un po’ di salsa.
Fare cuocere per pochi minuti per fare insaporire il tutto.
Cuocere la pasta, scolarla, condirla con i finocchietti, il pane abbrustolito e formaggio pecorino grattugiato.
Rimescolare bene e servire.
Correzione proposta
Basta togliere la prima riga in cui si parla di pomodoro e dopo quindi si parla di salsa.
Lavare e tagliare a pezzetti 500 gr di fegato 200 gr di polmone e 100 di cuore.
Metterli in una padella e farli soffriggere con grasso di maiale.
Aggiungete cinque cipollette novelle, coprire poi con un coperchio e rosolare a fuoco lento.
Quando il fegato è quasi cotto versare un bicchiere di vino rosso, far cuocere senza coperchio, lasciarlo evaporare. Servire.
Si possono mettere cardi selvatici.
Per la pasta, si impastano un kg di farina, sei uova e mezzo cucchiaio di sale. Si unisce l’acqua per amalgamare bene l’impasto e lavorare.
La pasta si stira con il matterello, fino a farla diventare sottile sottile. Poi con un coltello si tagliano a strisce sottili e lunghe.
Soffriggere una cipolla ed aggiungere 200 gr di lardo tagliato a pezzetti, le melanzane già fritte a dadini, un pugno di olive nere, alcuni funghi di bosco tagliati a pezzetti, 20 gr di capperi dissalati, qualche foglia di alloro, un mazzetto di finocchio rizzo tritato e basilico.
Fare cuocere a fuoco basso.
Bollite la pasta in acqua abbondante.
A cottura ultimata, scolatela e conditela con la salsa.
Servire ben caldo con formaggio pecorino grattugiato.
kg. 1 maccheroni di casa
2 mazzi di cardi selvatici
3 mestoli di salsa di pomodoro
formaggio q. b.
pancetta a pezzi.
Tagliare corti due mazzi di cardi, lessarli lasciandoli al dente, scolarli e finirli di cuocere in tre mestoli di salsa di pomodoro.
Lessare un kg di maccheroni, scolarli e condirli con questa salsa.
Condire con il formaggio.
Correzione proposta
Tagliare corti due mazzi di cardi, lessarli lasciandoli al dente, scolarli e finirli di cuocere in padella con pancetta a pezzi.
Lessare un kg di maccheroni, scolarli e condirli con i cardi e formaggio pecorino grattugiato.
Lessare un cavolfiore, avendo cura di conservare il brodo e soffriggerlo nell’olio con due spicchi di aglio tritati.
Cuocere a parte 300 gr di carne maiale tritata, mantenendola a fuoco lento fino a cottura completa.
Unire il cavolfiore e versare il tutto nel brodo messo da parte prima.
Portare la pentola ad ebollizione e versare a pioggia 300 gr di farina di cereali, continuando sempre a mescolare.
Cuocete altri 5 minuti e poi servite.
Sbattere sei bianchi d’uovo e farli montare a tipo panna, aggiungere, continuando sempre a sbattere, i rossi d’uovo e poi 300 gr di zucchero, un po’ di latte, un bicchiere di olio e.v.o., 300 gr di farina, un po’ di cannella e 100 gr di lievito.
Lavorare e amalgamare bene la pasta, aggiungere 200 gr di noci tritate e mescolare lentamente.
Mettere al forno per circa 40 minuti, quando si raffredda spolverare con zucchero fine.
Preso un intestino di suino di taglia piccola allevato allo stato brado e appena macellato viene accuratamente lavato con acqua e sale, condito con origano e lasciato asciugare in ambiente ventilato per 15 giorni.
Dopo una stagionatura di 3 mesi o fino al completo essiccamento, il budello può consumarsi crudo o cotto. Ottimo arrostito. La ricetta non più in uso.
Io ho utilizzato il budello stagionato, facendole bollire in acqua fredda per circa tre ore, insieme a un paio di cipolle tagliate a metà, un paio di spicchi di aglio, alcune foglie di cavolo o cavolfiore, un rametto di rosmarino, un mazzetto di prezzemolo tritato, un po’ di pepe, di chiodi di garofano e sale.
Cuocere fino a quando le budella siano diventate morbide.
Servile calde, magari con fette di pane raffermo o abbrustolito.
Ricetta del 1834.
Fare macerare un coniglio per un paio d’ore con aceto e foglie di alloro, poi pulirlo e lavarlo accuratamente. Sciacquate, tagliatelo a pezzi e asciugate.
Fate sciogliere appassire una cipolla con 50 gr di lardo, due spicchi d’aglio e un ciuffo di prezzemolo tritati. Aggiungete una carota, tre gambi di sedano e fate amalgamare bene.
A parte, in una padella fate sbollentare il coniglio con un bicchiere di vino bianco secco. Quando è rosolato, salate, pepate e mettetelo nella casseruola dove c’è il preparato di prima. Fate bollire a fuoco basso e amalgamate.
Lasciate evaporare per qualche minuto e aggiungete le verdure.
Coprite a filo con acqua tiepida e fate cuocere per circa un’ora con il coperchio.
Servite in un vassoio di portata e decorate con foglioline di alloro e limone.
Tagliare a pezzi un conigli la sera prima e metterlo in una terrina con alloro, origano, aglio e aceto. Lasciarlo insaporire fino alla mattina, quindi metterlo in uno scolapasta, sciacquarlo e poi asciugarlo.
Successivamente passarlo in un’ampia teglia (meglio se di terracotta) dove si siano fatti soffriggere 100 gr di lardo tagliato a tocchetti, con un trito di cipolla, aglio e sedano.
Quando tutto è diventato biondo aggiungere, due bicchieri di vino bianco, dopo l’evaporazione aggiungere e mescolare 300 gr di pomodori, 200 gr di cardi, alcuni torsoli di carciofi e lasciare a fuoco basso per circa 40 minuti.
Amalgamare bene. Servire calde.
Correzione proposta
Quando tutto è diventato biondo aggiungere, due bicchieri di vino bianco, dopo l’evaporazione aggiungere e mescolare 200 gr di cardi, alcuni torsoli di carciofi e lasciare a fuoco basso per circa 40 minuti. Amalgamare bene. Servire calde.
Fare bollire i piedi e la testa del maiale.
Condire con un po’ di sale. Disossare e tagliare la carne a piccoli pezzettini che si porranno in un piatto di portata.
Riportare ad ebollizione l’acqua in cui sono stati bolliti i pezzi di maiale, quindi versarvi un albume di uovo montato a neve.
Togliere dal fuoco, filtrare il brodo con una stoffa di lana bianca, aggiungere un cucchiaio di zucchero, succo di limone, aceto, e infine versare sulla carne.
Sbattere 5 uova con sale, pepe e 4 cucchiai di pecorino.
Nel frattempo fare rosolare due/tre patate e una cipolla con olio abbondante, quando è ben cotta, aggiungere salsa di pomodoro, informaggiare con abbondante pecorino.
Aumentare il fuoco e servire calda.
Correzione proposta
Basta togliere la frase “aggiungere salsa di pomodoro”.
Tagliate a pezzetti quadrati il baccalà ammollato.
Asciugateli e farciteli con aglio e peperoncino rosso o nero.
Avvolgetelo in carta paglia abbondante e ponetelo nella brace.
Quando è cotto conditelo con olio d’oliva e un getto di aceto.
Oggi si può sostituire la carta paglia con della carta stagnola o di alluminio.
Sviscerate e lavate un maialino da latte, salate, pepate e mettete all’interno mazzetti di prezzemolo, ramoscelli di mirto, cicoria o verdure di stagione, cardi selvatici, 500 gr di tuma fresca affettata, olive, 300 gr di lardo tagliato a tocchetti, qualche foglia di alloro, un pizzico di finocchio. sale e pepe, cercando di equilibrare gli aromi.
Cucite la pancia del maialino a mo’ di pancetta. Ungete di strutto tutto il maiale, avvolgetelo nella carta stagnola, adagiatelo su una grande teglia e fate cuocere per circa quattro ore nel forno (possibilmente a legna).
In alternativa potete: preparate il fuoco all’aperto con legna aromatica, infilzare il maialino con lo spiedo e cuocere girando sul fuoco e bagnando di tanto in tanto con sugna sciolta.
Aromatizzate ricoprendo con ramoscelli di mirto e alloro.
Mettere in un tegame 4 cucchiai d’olio, 150 gr di pancetta tagliata a pezzetti, tre spicchi di aglio e fare rosolare.
Togliere l’aglio ed aggiungere un cavolfiore gia lesso e fatto a pezzetti, farlo rosolare.
Lessare la pasta nell’acqua di cottura del cavolfiore, scolarla al dente ed unire un po’ d’olio di oliva.
Prendere una teglia, ungerla con olio e mettere uno strato di pasta, uno di cavolfiore, una manciata di pecorino e la mollica precedentemente abbrustolita con 80 gr di acciughe e aglio.
Ripetere gli strati sino ad esaurimento degli ingredienti ed ultimare con la pasta condita con formaggio.
Mettere in forno per 45 minuti e servire calda.
Pulire accuratamente due intestini di agnello con acqua e sale.
Dopo averli lavati, metterli a bagno con acqua, sale e limoni tagliati a fette per circa 40 minuti.
Trascorso il tempo risciacquare gli intestini, tagliarli in senso verticale e attorcigliarli sulle cipollette novelle con tuma o formaggio pecorino di primo sale.
Metterle sul fuoco e farle rosolare lentamente. Possono essere fritte in padella o arrostite sulla brace.
Variante: sbollentare in una casseruola con vino bianco, e poi cuocere nella brace.
Questa ricetta risale al 1834.
Ingredienti: 1 cipolla, ventresca, lardo, 6 uova, formaggio pecorino grattugiato, aglio.
Disponete in un tegame una cipolla tritata con tocchetti di bicchju!ari o ventresca, lardo e m po’ d’aglio.
Quando tutto è rosato, versare in una pentola aggiungendo 2 litri d’acqua, sale, pepe e portare in ebollizione.
Preparare sei uova e sbattere con formaggio pecorino.
Quando diventano schiumose versare nella pentola a fuoco lento.
Buon appetito!
Si condisca una grossa fetta di carne di maiale con sale e pepe.
Si ricopra con uno strato di cipolle tagliate sottili, si aggiunga 100 gr di pecorino fresco tagliato a fettine, tre uova sode tagliate a spicchi, sale, pepe e basilico.
Si arrotoli ben stretta e si leghi con spago incolore.
Mettere a cuocere i un tegame con olio e, una volta cotta, tagliare a fette.
Tagliate a pezzetti un cosciotto di agnello di un kg circa e unire ad un soffritto di 70 gr di lardo e pancetta tagliati a dadini in poco olio e uno spicchio d’aglio.
Eliminate il grasso dalla padella quando l’agnello è già ben rosolato.
Salate, pepate e innaffiate con due cucchiai di conserva (meglio se concentrato di pomodoro) diluita in un mestolo d’acqua tiepida.
Aggiungere una foglia di alloro e rosmarino e fate cuocere per 45 minuti. Servite in casseruola di portata.
Correzione proposta
Basta togliere la frase “e innaffiate con due cucchiai di conserva (meglio se concentrato di pomodoro) diluita in un mestolo d’acqua tiepida”.
Tagliate tre cipolle e due spicchi di aglio e fate rosolare con pezzi di soppressata e pancetta.
Quando tutto è ben odoroso, amalgamare e disporre a strato nella padella.
Sbattete sei uova aggiungendo un po’ di formaggio pecorino grattugiato e versate sopra lo strato.
Fate leggermente dorare dalle due parti.
Servitela calda.
Tagliare a pezzetti mezzo capretto, lavarlo e scolarlo bene.
Preparare un trito di prezzemolo, qualche foglia di menta, aglio e formaggio pecorino duro.
Lardellare il capretto con tutti gli ingredienti insieme allo strutto.
Disponeteli su una teglia oleata e le patate tagliate a fette grosse.
Aggiungete sale, pepe e passare al forno.
Si puliscono le sarde e poi si mettono nel recipiente con un po’ d’olio d’oliva e poi le sarde prezzemolo, pepe, sale e limone spremuto.
Il recipiente deve essere turato con un coperchio per non prendere aria.
Quindi si mette a bollire a bagnomaria.