Sagra delle Verdure Selvatiche a Isnello (aprile)

Menù della sagra delle Verdure Selvatiche che si tiene in Aprile a Isnello, un piccolo comune in provincia di Palermo che confina con Cefalù.
Verdure selvatiche miste
Verdure selvatiche miste

Isnello è un piccolo comune collinare della provincia di Palermo, che confina con comuni più famosi, come Cefalù, Polizzi Generosa, Petralia Sottana, Castelbuono, quasi tutti “incastonati” nel Parco delle Madonie, con aree naturali boschive costituite da lecci, roverelle e sugheri.

Nel suo territorio lapideo l’omonimo torrente sviluppa un canyon e nel passato, presumibilmente, la Grotta “Abisso del Vento”.

Le particolari condizioni esistenti in alcune parti del territorio, quale assenza totale di fonti luminose notturne, consentono una vista limpida del cielo notturno in diversi giorni dell’anno, tanto che in località Piano Battaglia è stato istituito un Osservatorio Astronomico.

In primavera, a cura della Pro-loco, si svolgono tre sagre particolari:

  • primo week-end di aprile la sagra delle verdure selvatiche tradizionali
  • ultimo week-end di aprile la sagra della frittedda (piatto tipico con fave, piselli e carciofi)
  • a giugno la sagra delle fave di S. Pietro

Verdure selvatiche miste

Ci soffermiamo sulla prima sagra, la quale è giunta alla sua 7° edizione, la quale si arricchisce di un appuntamento culturale, con l’intervento di luminari delle scienze botaniche e delle tradizioni popolari.

Nella serata del sabato, negli stand, vengono distribuiti alcuni piatti della tradizione popolare, preparati con le erbe selvatiche commestibili della zona.

Raccogliere in primavera le erbe selvatiche commestibili è davvero una bellissima attività, ci permette di stare all’aria aperta, riportando a casa un cibo sano e ricco di nutrienti. tenendo sempre presente che:

  • non si raccolgono in luoghi poco puliti e inquinati, con possibili contaminazioni di sostanze tossiche quali pesticidi, aflatossine, elementi radioattivi, metalli pesanti come piombo, mercurio, cadmio e arsenico;
  • evitate aree nei pressi di fabbriche e industrie;
  • non raccogliete niente sui cigli delle strade;
  • non raccogliere le specie protette;
  • rispettate il luogo di raccolta: raccogliete solo un terzo, lasciando il resto per riprodursi;
  • inizialmente mangiatene piccole quantità, essendo un concentrato di elementi nutritivi;
  • utilizzate sempre un coltellino per tagliare le erbette e una sporta di tessuto per il raccolto
  • se usate sacchi di plastica, non tenetecela molto: arrivati a casa distribuite l’erba, se non consumata subito, su panni, smuovendola frequentemente.
  • eliminate le parti secche e gli eventuali frammenti di erbe non commestibili, accidentalmente frammisti alla verdura,
  • lavate accuratamente sempre con acqua fredda (anche se alcune devono essere anche preventivamente “spellate” oppure private di parti acuminate);
  • cuocete quasi esclusivamente in acqua (verdure lessate).

Il commercio delle verdure spontanee è praticato, in genere, come occupazione secondaria, perlopiù da contadini o boscaioli. Tuttavia, pur trattandosi di merce a costo zero, fatta eccezione del dispendio di tempo necessario a cercarla e raccoglierla, la sua vendita non offre mai notevoli introiti.

Di norma gli erbaioli vendono le verdure raccolte direttamente al pubblico, su banchetti improvvisati ai margini delle strade o nei mercati rionali, per qualche mese della primavera in cui c’è la disponibilità di questi prodotti.

Vediamo ora un elenco (non esaustivo) delle erbe selvatiche (alimurgiche spontanee) più in uso nel Parco delle Madonie e nel limitrofo Parco dei Nebrodi, ma anche nell’intera Sicilia: l’indicazione dei nomi è del tutto relativa e non è detto che valga per l’intera area.

 

Nome scientificoFamigliaNome comuneNome in dialetto
Allium ampeloprasumLiliaceaePorraccioGhiastru, Agghiastru, Agghioru in area sudorientale; Purrietti a Mistretta
PorraccioHabitat

Si riscontra negli incolti aridi e ai bordi dei campi.

Parti commestibili

Si raccolgono sia il bulbo (a testa) che i novelli getti (u tenniru) delle foglie.

Uso alimentare

Aromi Minestre Condimenti
Il Porraccio viene impiegato soprattutto come aromatizzante. Nel territorio in esame, tale uso non è, al giorno d’oggi, molto frequente, mentre lo era qualche decennio fa. Si adoperava, principalmente, il bulbo per condire minestre, sughi e anche per insaporire il brodo di vitello e di pollo; anche le foglie tenere, tagliate a fettine e sbollentate, servivano per condire frittate. Un uso caratteristico del bulbo, ridotto a listelle, era come condimento delle cosiddette olive cunsate.

Apium nodiflorum ssp. nodiflorumUmbelliferaeSedano d’acquaScavuna a Mistretta; Crisciuni in altre aree
Asparagus albusLiliaceaeAsparago biancoSparaciu jancu a Bronte
Asparago biancoHabitat

è abbastanza frequente sui terreni sedimentari nel settore sud-orientale

Parti commestibili

Di questo erbaggio si consumano gli ‘asparagi’; cioè i turioni (micci). I turioni dell’Asparago bianco spuntano nel sottobosco a fine inverno e in primavera.

Asparagus acutifoliusLiliaceaeAsparago pungenteSparaci sarvaggi, sparacognu a sud-est
Asparago pungenteHabitat Questa pianta ha tipica distribuzione mediterranea, infatti è rara o assente nel nord Italia, mentre è abbondante nelle isole.

Parti commestibili

Di questo erbaggio si consumano gli ‘asparagi’; cioè i turioni (micci). Essi differiscono da quelli dell’Asparago coltivato sia perché sono più contorti e più sottili sia perché hanno le squame membranose con la base speronata, mentre è ottusa nell’Asparago coltivato. I turioni dell’Asparago pungente sono, inoltre, poco appariscenti, ma la raccolta è facilitata dalla presenza dei voluminosi tralci persistenti che la pianta produce nell’anno precedente.

Uso alimentare Lessi Stufati Frittate Condimenti
I turioni hanno un aroma più marcato. Al palato manifestano un sapore amaro che è considerato un pregio. E’ anche apprezzata la loro azione diuretica. Si stufati (affogati), cioè cotti in padella con poca acqua o lessati e poi conditi con olio e limone. Sono pure buoni come condimento per la pasta o per i risotti o come ingredienti delle frittate.

Occorre, innanzi tutto, separare le tenere cime dei turioni dai rispettivi ‘gambi’, che sono duri. Successivamente, in un’opportuna quantità di acqua e in recipiente separato, si sbollentano appena le cime e si cuociono più a lungo i gambi. Indi si soffriggono le cime e nell’acqua in cui sono state sbollentate le cime e cotti i gambi si fa cuocere la pasta. Infine si mescola quest’ultima con le cime, riscaldando un poco

Asphodeline luteaLiliaceaeBacchetta di re, asfodelo gialloBaffaluchi a ovest; Zubbi a sud-est
Atractylis gummiferaAsteraceaeMasticogna laticiferaMasticogna a sud-est
Bellis perennisAsteraceaePratolina comunePrimi sciuri in alcune aree
Beta vulgaris ssp. maritimaChenopodiaceaeBietolaGiri, Gira a sud-est; Gira a Tortorici e Mistretta; Zarchi a Santo Stefano di Camastra
BietolaCaratteri botanici

Pianta erbacea perenne con radice non ingrossata, provvista di un cespo fogliare quasi appressato al suolo, costituito da foglie spatolate, carnosette, lungamente picciolate e dotate di una lamina di colore verde intenso e lucente. I piccioli si presentano sovente colorati in rosso alla base per la presenza di betacianina. Dal cespo basale, al sopraggiungere dell’estate, si origina un fusto eretto, ramoso, che porta un’infiorescenza con glomeruli di 1-3(5) fiori piccoli e verdastri. Anche il fusto può presentare colorazione rossastra.

Habitat

Più frequentemente lungo i litorali, più raramente all’interno su argille.

Parti commestibili

Le cime dei nuovi getti e le foglie tenere. Il prelievo di queste parti va fatto in primavera, periodo in cui la pianta non viene danneggiata perché è pronta a rimettere i germogli. Se invece, è fiorito, l’erbaggio non è più buono da mangiare.

Uso alimentare

Le cime e le foglie si utilizzano in vari modi, lesse e poi saltate in padella oppure come ripieno nelle focacce (scacciate). Più comunemente si usano come importante ingrediente delle minestre di fave e di legumi in genere.

Borago officinalisBoraginaceaeBorragineBburraina al centro e sud-est; Vurrania a ovest
BorragineCaratteri botanici

Pianta erbacea annua marcatamente ispida in tutte le sue parti per la presenza di peli rigidi e pungenti. Il fusto, ricco di mucillagini, è cavo, grosso ma tenero, ramificato nella parte superiore, alto fino a 50 cm. La fioritura avviene in tempi diversi a seconda del posto, in Sicilia da gennaio ad aprile.

Habitat

Cresce abbastanza bene su terreno sia vulcanico che sedimentario. E’una specie di origine orientale, diffusa in Europa e nel Mediterraneo, ma in molte zone solo naturalizzata.

Parti commestibili

Sono commestibili sia la pianta intera (a macchia) raccolta all’inizio della primavera, quando è ancora giovane, sia le cime (i spicuni) o le foglie tenere, quando la pianta è matura. L’aspetto ispido della pianta non deve scoraggiare poiché i peli perdono la loro rigidità con la cottura.

Uso alimentare

Nei Nebrodi la Borragine è usata sia come piatto di verdura, lessata in poca acqua e condita con olio, sia come ingrediente di minestre o zuppe, fra cui principalmente quella di lenticchie. Un’altra caratteristica zuppa in cui si fa uso di questa pianta è quella detta a paparotta: l’erbaggio viene lessato in abbondante acqua nella quale si aggiunge semolino, mescolando continuamente. All’impiego culinario della Borragine si attribuisce, oltre all’evidente potere nutritivo, anche una certa valenza curativa in quanto la pianta possiede una buona quantità di mucillagini ad azione antinfiammatoria e rinfrescante

Diffusione

Già gli antichi Romani consigliavano l’uso della Borragine in diverse pietanze per il particolare gusto che ricorda quello del cetriolo. Attualmente l’uso gastronomico della Borragine è maggiormente diffuso nell’Italia peninsulare rispetto al nostro territorio. Le giovani foglie si consumano crude in insalata, dopo averle tritate e mescolate con altri erbaggi o con pomodori. La rigidità dei peli svanisce per effetto dell’aceto. Le stesse foglie, come pure le cime, vengono consumate lessate e poi condite con olio e limone oppure saltate al burro, strascicate con olio e limone o anche passate al setaccio sottoforma di purè verde. In minestra, per le loro proprietà emollienti, sono buoni succedanei degli spinaci (POMINI, 1959). In Toscana, le foglie lessate e mescolate a quelle della cicoria e ai semi del finocchio costituiscono un caratteristico piatto regionale, la zuppa frantoiana. Nel Senese esse vengono passate nella pastella e poi fritte (CORSI e PAGNI, 1979b). In Lombardia, anche il tenero fusto della Borragine, dopo essere stato avvolto con filetti di acciughe, viene mantecato nella pastella e fritto e consumato come contorno per arrosti. Ma è soprattutto nella cucina ligure che la gustosa Borragine trova largo impiego, specialmente come ripieno dei pansotti, dei quadrucci e della celebre torta pasqualina. In questa regione l’erbaggio viene pure usato per preparare l’impasto delle tipiche lasagne verdi. Nel Trattato dei cibi et del bere edito in Bologna nel 1589, il medico Baldassare Pisanelli consigliava di “mangiarsi il dragoncello in compagnia dei fiori della borragine, con l’indivia o con la lattuga, o con altre herbe”. Dell’erbaggio in esame si utilizzano, infatti, per fini culinari anche i fiori. Essi possono essere adoperati per decorare diverse pietanze, ad esempio disposti su insalate oppure messi a galleggiare nelle zuppiere o nelle caraffe di punch. Inoltre, se canditi, si possono usare per decorare torte e altre confezioni di pasticceria (BONAR, 1990; SIMONETTI, 1990); certi aceti aromatici assumono un bel colore turchino per aggiunta dei fiori di questa pianta (BETTO, 1982). Della Borragine si utilizzano pure i boccioli, conservati sotto aceto e consumati allo stesso modo dei capperi. Infine, dalle foglie pestate in un mortaio si ottiene un succo altamente dissetante e rinfrescante (INDRIO, 1981; MABEY, 1992).

Osservazioni

In tutto il meridione la Borragine è considerata un’erba infestante, mentre in altre regioni, come in Liguria, è vantaggiosamente coltivata perché ha una buona richiesta di mercato (KUSTER, 1989). – La Borragine è utilizzata anche a scopi non alimentari, in quanto nella apicoltura, essendo una pianta mellifera. Inoltre, lo splendore dei fiori della Borragine è sottolineato dal proverbio siciliano: esseri tutto pitittu e ciuri di bburrania, in riferimento a cosa o persona che si fa desiderare per la sua bellezza.

Brassica fruticulosaBrassicaceaeCavolicello, Cavolo rapiciollaCauricellu, Coricellu, Cauricellu, Quaricellu a sud-est e in altre aree
Cavolo rapiciollaHabitat

E’una specie diffusa nelle aree che si affacciano sul Mediterraneo centro-occidentale. In Italia è presente nelle regioni centro-meridionali dove non è uniformemente distribuita. Tale ineguale ripartizione geografica è dovuta principalmente alla preferenza della pianta per i suoli silicei. In Sicilia si riscontra quasi esclusivamente sui suoli cristallini dei Peloritani, sulle vulcaniti di alcune isole minori (Linosa, Ustica, Eolie) e sull’Etna dove è largamente diffusa, dal livello del mare fino a 1200 m. La pianta cresce un po’ovunque, prediligendo, tuttavia, in modo particolare i vigneti; si trova con una certa abbondanza anche nei pometi; l’uso eccessivo di diserbanti in queste colture sta, però, determinandone la progressiva scomparsa.

Parti commestibili

Si raccolgono, tipicamente, i giovani getti delle piante adulte; qualche volta anche le foglie tenere oppure l’intera pianta appena germinata. L’erborinatore inesperto può confondere il Cavolicello con un altro erbaggio simile nella forma, il Rapastrello (Raphanus raphanistrum L.) che ha le foglie più ruvide.

Uso alimentare

Il Cavolicello è conosciuto ed apprezzato dalla popolazione (rurale e cittadina) e viene attivamente raccolta dall’autunno alla primavera. Le parti commestibili devono essere cotte in abbondante acqua (meglio se di cisterna), quindi strizzate fra due piatti per eliminare l’acqua di cottura e condite con abbondante olio di oliva. L’uso più appropriato, tuttavia, è come contorno alla salsiccia cotta alla brace. Questa verdura ha un gusto deciso, inconfondibile e gradito al palato; esso è dovuto ad un eteroside sulfonato che è una sostanza aromatica.

Brassica nigraBrassicaceaeSenape neraSinàpi a Mistretta
Bunias erucagoBrassicaceaeCascellore comuneCicoina, Cicoira a sud-est
Cascellore comuneCaratteri botanici

Pianta erbacea annuale alta fino a 80 cm e provvista di una leggera peluria. E’caratterizzata da una rosetta di foglie basali (che compare all’inizio dell’inverno) pennatosette, con lembo profondamente inciso in lobi triangolari a margine irregolarmente dentato. All’inizio della primavera, dal centro della rosetta si sviluppa un fusto eretto, ramoso in alto, con foglie oblungo-spatolate aventi il margine disordinatamente dentato. I fiori sono piccoli, tetrameri, con petali di colore giallo. I frutti sono piccole siliquette, lunghe ca. 1 cm, con un becco centrale a 4 ali laterali irregolarmente dentate. Durante la maturazione dei frutti le foglie basali iniziano a disseccarsi e successivamente scompaiono.

Habitat

La specie, che cresce dal livello del mare fino ai 2200 m di altitudine, è comune in tutto il territorio, anche in incolto, ma non in densi popolamenti.

Parti commestibili

Le parti commestibili della pianta sono le foglie basali che si raccolgono durante l’inverno appena compaiono, poichè successivamente, quando si forma lo scapo fiorale, non sono più appetibili. Le rosette si identificano facilmente per la tipica forma delle foglie.

Uso alimentare

Le foglie si fanno lessare e poi si condiscono con olio. Il loro sapore ricorda quello del Cavolo e del Cavolicello, ma di quest’ultimo non ha il tipico gusto amaro. Si mangia anche crudo in insalata (POLUNIN e HUXLEY, 1968). In genere, però, si utilizza bollito, saltato in padella o aggiunto alle minestre (POMINI, 1956). Una minestra assai nota, preparata con riso e fagioli, è detta, in Lombardia, ris e barland. (BIANCHINI et al., 1973; CORBETTA, 1991).

Chondrilla junceaAsteraceaeLattugaccioCuri î suggi, Inestruola a sud-est
LattugaccioHabitat

Cresce, dal livello del mare sino a ca. 2000 m di quota, negli incolti e nei coltivi (soprattutto vigneti e pometi), ma anche nei bordi di strada.

Parti commestibili

Vengono utilizzate in inverno la rosetta di foglie basali (a zotta), tagliandola alla base in modo da preservare la radice, in primavera lo scapo (giummu o micciu), infine, all’inizio dell’estate, le cime terminali (taddi) di ciascun ramo. Tutta la pianta contiene un latice, completamente innocuo, che si rapprende a contatto con l’aria.

Uso alimentare

Lessi Insalate Condimenti
Le foglie basali, di sapore leggermente amarognolo, si consumano crude o cotte. Crude si preparano in insalata quando sono ancora giovani e tenere (u tenniru); secondo una credenza locale il Lattugaccio, così consumato, sarebbe un efficace rimedio contro l’eccessiva acidità di stomaco. Cotte, si fanno lessate e condite con olio o aggiunte come condimento per la pasta. La loro ingestione può produrre una blanda azione soporifera per la presenza di piccole quantità di sostanze ipnotiche, contenute anche nella comune Lattuga. Lo scapo, di sapore dolce, si cucina come gli asparagi e si usa per condire frittate.

Osservazioni

Su alcuni nomi dialettali. I nomi dialettali Cudidda, Curidda, Curî suggi e Cud’ê attu si riferiscono allo stadio giovanile dello scapo che, ricoperto di spinule e di foglie ricadenti, assomiglia vagamente alla coda di qualche animale. Le dizioni Inestruora e Inistrora si riferiscono allo stadio maturo dello scapo quando il suo aspetto cespuglioso, il colore glauco dei rami e il tipo di foglie evocano l’immagine della Ginestra (Inestra) in miniatura.

Lactuca viminea (L.) Presl.CompositaeLATTUGA ALATALattuga viminea.
Lattuga alataCaratteri botanici

Pianta erbacea bienne caratterizzata da una rosetta di foglie basali, che compare tra l’autunno e l’inverno, aventi lamina pennatosetta a maturità con segmenti lineari a margine intero. In primavera, al centro della rosetta, si sviluppa uno scapo eretto, inizialmente verde e tenero, legnoso alla base e di colore biancastro a maturità, alto fino a 1 m, con foglie inferiori pennatosette e superiori intere o dentate e progressivamente ridotte. I fiori, di colore giallo, compaiono in estate, riuniti in capolini sessili, pauciflori.

Habitat

La Lattuga alata cresce in prevalenza nei luoghi sassosi, negli incolti e nei margini di strada, dal livello del mare fino a ca. 2100 m di altitudine.

Parti commestibili

In inverno si utilizza la rosetta di foglie basali oppure, in primavera, quando lo scapo è ancora tenero, l’intera pianta.

Uso alimentare

Le foglie basali, dal sapore dolciastro, si consumano lessate e condite con olio oppure, più raramente, crude in insalata. Gli assi fiorali (cimuzzi), dal sapore amarognolo, si usano come condimento nelle frittate. Nel territorio etneo, la Lattuga alata è considerata una delle migliori verdure da foglia (fogghia).

Diffusione

La Lattuga alata è riportata come pianta edule solo in pochi manuali di fitoalimurgia (INDRIO, 1981; CHIEJ-GAMACCHIO, 1990) nei quali, tuttavia, viene segnalata come verdura di buona qualità.

Cichorium intybusAsteraceaeCicoria comuneCicoira a ovest; Cicoina in altre aree
Clematis vitalbaRanunculaceaeVitalbaLigara a sud-est
Crataegus monogynaRosaceaeBiancospino comuneBrizzulino al centro; Bruzzellinu a ovest
Crepis vesicaria ssp. vesicariaAsteraceaeRadicchiella vescicosaOcchi pirnici, Erba d’acietri a ovest
Fedia cornucopiaeValerianaceaeLattughellaLattucheddra ri maio, Spezzaquartari a ovest; Spazzaquartara, Maggio al centro
Foeniculum vulgareUmbelliferaeFinocchio selvaticoFinocchi a ovest; Finocchiu al centro; Finucchieddu rizzu, Finocchieddu î  timpa a sud-est
Hermodactylus tuberosusIridaceaeBellavedovaCastagnotto a sud-est
Hyoseris radiataAsteraceaeTrinciatellaButtuni ri gallo a sud-est
TrinciatellaCaratteri botanici

Pianta erbacea perenne caratterizzata da una grossa radice fittonante e da una rosetta di foglie basali, appressate al suolo e radiate, a lamina pennatosetta con 7-8 segmenti per lato a margine irregolarmente dentato, provviste sulla rachide di peli ispidi e patenti.

Habitat

E’una specie comune negli incolti, nelle rupi, sui muri a secco, i bordi di strada e nelle sciare, dal mare fino a ca. 1000 metri d’altitudine.

Parti commestibili

Gli scapi fiorali prima dell’antesi (prima di spampinari), nonché la rosetta di foglie basali.

Uso alimentare

Si tratta di una verdura minore; pur essendo, infatti, reperibile con grande facilità, non viene ritenuta commestibile dalla maggioranza della popolazione. Solo a Randazzo si hanno notizie sul consumo del suo cespo di foglie. A Ragalna e Linguaglossa, invece, si cucinano gli scapi, bolliti e conditi con olio e limone oppure come contorno di frittate; qui, come pure a Castiglione, si usa anche masticarli assaporandone il succo dolcissimo.

Diffusione

Le foglie basali sono adoperate come verdura cotta oppure aggiunte a minestre e zuppe. I fiori sono impiegati crudi nelle insalate miste. Sembra che in passato venissero utilizzate anche le radici tostate come surrogato del caffè (LONARDONI e LAZZARINI, 1993-94).

Osservazioni

La denominazione dialettale Buttuni ri gallu è utilizzata a Randazzo in allusione ad una somiglianza dei capolini ancora in boccio con i testicoli (buttuni) che vengono tolti ai galli trasformandoli in capponi.

Hypochoeris radicataAsteraceaeCostolina creteseCosta ri vecchia, Costavecchia a sud-est; Scarri a ovest
Costolina creteseHabitat

Cresce sia nei terreni sciolti che in quelli compatti, comprese le sciare dell’Etna, dal livello del mare fino alle medie altitudini (1500 m).

Parti commestibili

Per uso alimentare si raccolgono sia la rosetta basale sia gli scapi. La prima, in autunno-inverno, avendo cura di staccarla dal colletto, mediante una lama, in modo da consentire alla pianta di riemettere un nuovo getto nella successiva stagione. I secondi si spiccano, in primavera, quando i capolini sono ancora in boccio. Nelle parti tagliate la pianta emette, se pur non abbondantemente, un latice appiccicoso. Questa sostanza è innocua, anzi è la responsabile delle ottime qualità culinarie di questa pianta.

Uso alimentare

L’uso alimentare di questa pianta, nel territorio etneo, è assai diffuso. La rosetta basale (a zotta) costituisce un piatto di verdura particolarmente saporito e piacevolmente amarognolo. Queste caratteristiche organolettiche, dovute soprattutto al latice, sono ancor più evidenti quando la pianta è ancora giovane (autunno-inverno) poiché, a maturità le foglie diventano ispide, fibrose e insipide. Dopo averla mondata da eventuali foglie appassite e dalla porzione basale, si prepara lessa e condita con olio. Talora si unisce ad altre verdure meno saporite (Crespigno, Caccialepre, Lattuga alata, ecc.) per renderle più gustose. Gli scapi, che hanno un sapore più amaricante, si impiegano, dopo una opportuna sbollentatura, come gli asparagi per condire frittate. In dialetto gli scapi eduli si chiamano ‘micc’ î scalora’ a Linguaglossa e ‘scaranzizuli’ a Zafferana.

Osservazioni

Nel nome di ‘cosce di vecchia’ non v’è nessun particolare che possa ricordare le gambe, tanto meno quelle delle donne anziane. E’, invece, probabile che tale denominazione sia corruttela di un altro termine dialettale, che è riferito alla stessa pianta. Essa, infatti, è chiamata ‘Cost’ î vecchia’ o con denominazioni simili (‘Costa-vecchia’, ‘Costa ri vecchia’) termini che si traducono in Costola di vecchia. Questa locuzione è riferita a un evidentissimo carattere: le sue foglie presentano la nervatura mediana assai prominente che ricorda l’affioramento delle costole umane della gabbia toracica, carattere, questo, che si rende più evidente con il sopraggiungere dell’età senile. Il riferimento al sesso femminile è dovuto probabilmente a quello della pianta che è anch’esso femminile. Tale glottogenesi trova efficace conforto nell’esistenza di vari nomi volgari che sono attribuiti a questa entità e alla affine Hypochoeris radicata: Costolina, Costolone e Costole d’asino. – La Costolina liscia Nel territorio etneo esiste anche una specie affine alla Costolina. Si tratta della Costolina liscia (Hypochoeris glabra L.) che differisce dalla precedente perché annuale e per le foglie prive di peli, attributi, però, poco significativi per chi si accinge a raccogliere la pianta. Le foglie glabre, infatti, non sono sempre tali e la durata di un anno o la perennanza sono irrilevabili sul campo. Gli erborinatori, quindi, confondono la Costolina liscia con la Costolina raccogliendo entrambe senza alcuna discriminazione. Tuttavia, questo non rappresenta un danno poiché i due erbaggi hanno le stesse caratteristiche organolettiche. – Le galle mangerecce In alcune contrade etnee esiste una tradizione fitoalimurgica singolare: le galle provocate da un insetto negli scapi fiorali delle due Costoline (Hypochoeris neapolitana e H. glabra) sono considerate commestibili. Le galle o cecidi, com’è noto, sono escrescenze prodotte dalle piante in seguito all’ovodeposizione di un animale parassita. Questi induce la formazione della galla per assicurare la sopravvivenza della sua progenie; infatti i nuovi nati trovano all’interno della galla protezione e nutrimento. Nel nostro caso le galle hanno un aspetto allungato a forma di salsicciotto e sono dette ‘cucummaru’ a Nicolosi, ‘cucúmmareddu’ o ‘cucuzzedda’ a Ragalna e ‘cazzicatummuli’ a Zafferana. I primi tre nomi alludono chiaramente alla loro forma che è simile al cetriolo o alla zucchina; l’ultimo, invece, non sembra avere attinenza che si possa spiegare. I ‘cucummareddi’ (o in altro modo chiamati) vengono raccolti dai locali per essere consumati crudi o cotti e hanno un sapore molto dolce.

Lactuca serriolaAsteraceaeLattuga selvaticaLattuca sarbaggia a sud-est
Lactuca vimineaAsteraceaeLattuga alataGattaru, Perinigghiu, Lattughedda du signori, Pieririnigghiu a sud-est
Lamium flexuosum Ten.LamiaceaeFalsa ortica flessuosaZinzili al centro
Lathyrus sylvestrisFabaceaeCicerchia silvestreCessavuoi, Gelsaù a ovest; Cessabua a est
Leontodon tuberosusAsteraceaeDente di leone tuberosoOcchi pinnici a sud-est
Dente di leone tuberosoCaratteri botanici

Pianta erbacea perenne caratterizzata da radici ingrossate, tuberizzate e da una densa rosetta di foglie basali, pelose, lineari-spatolate, con margine profondamente sinuoso-dentato. In primavera, dal centro della rosetta si sviluppano gli scapi fiorali, eretti ed afilli, che portano all’apice un capolino di fiori colore giallo-limone. La parte aerea ricorda, nell’aspetto generale, la più comune Costolina.

Habitat

Si tratta di una specie non molto diffusa sull’Etna, che cresce nelle sciare e nei coltivi, dal livello del mare fino a 1000 m di altitudine.

Parti commestibili

Il cespo di foglie basali.

Uso alimentare

Le foglie del Dente di leone si usano semplicemente lessate e condite con olio.

Osservazioni

Un’omonimia da evitare Il nome comune Dente di leone viene attribuito anche ad un’altra pianta mangereccia, Taraxacum officinale Weber, sempre in riferimento alla presenza di foglie con margine marcatamente dentato-inciso. Questa specie, anch’essa appartenente alla famiglia Compositae, è nota, peraltro, con altri appellativi volgari (Soffione, Tarassaco, Piscia cane, Piscialetto) ed è assente nel territorio etneo.

Nasturtium officinaleBrassicaceaeCrescione d’acquaCrisciuna a Mistretta
Onopordum illyricumAsteraceaeOnopordo maggioreMunaceddu a sud-est
Plantago lagopus L.PlantaginaceaePiantaggine piede di lepreCutidduzzi a ovest
Portulaca oleraceaPortulacaceaePorcellana comunePuccillana, Purcillana a sud-est; Purciddana al centro
Porcellana comuneHabitat

La Porcellana è molto diffusa negli incolti e come infestante delle colture irrigue (agrumeti, orti, ecc.).

Parti commestibili

Si raccolgono le giovani cime prelevate prima della fioritura.

Uso alimentare

In Sicilia l’uso della Porcellana non è molto diffuso. Essa viene consumata cruda in insalata, talora assieme a pomodoro e basilico. Lo scarso apprezzamento va probabilmente attribuito al sapore saligno e alla consistenza mucillaginosa non particolarmente appetibile.

In tutta Italia è ritenuta ottima verdura rinfrescante, depurativa e diuretica. Si consuma sia cruda che cotta. Cruda, si prepara in insalata, come da noi, o con il pomodoro e altri ortaggi; cotta si fa lessata e condita con olio e aceto, oppure fritta in olio bollente, previa immersione in una pastella composta da farina, uovo sbattuto e briciole di pane o, ancora, saltata in padella, come gli spinaci, insaporendola con aglio ed acciughe. Si aggiunge anche alle minestre e agli stufati, sfruttando la sua consistenza mucillaginosa che ha la proprietà di far restringere il brodo (NERI, 1990; INDRIO, 1981). In varie tradizioni fitoalimurgiche, le foglie di Porcellana si conservano sottaceto per poi impiegarle, al pari dei capperi, come contorno o antipasto (CHIEJ-GAMACCHIO, 1990). Analogamente, i suoi rametti più carnosi, tagliati a pezzettini, si conservano in salamoia. Una testimonianza dell’ottimo credito di cui gode altrove questa verdura si riscontra nella consuetudine, assai diffusa nelle altre parti d’Italia quanto incredibile per noi, di coltivare la Porcellana come un qualsiasi altro ortaggio.

Osservazioni

La Porcellana non è una pianta indigena dei territori circum-mediterranei, ma è originaria dell’Asia meridionale e già 2000 anni a.C. veniva coltivata in Mesopotamia. Da qui, come pianta ortiva, passò in Grecia e quindi a Roma, dove, fra gli altri, Varrone ne decantò le virtù alimentari. Durante il Medioevo si diffuse, poi, nel resto dell’Europa, venendo coltivata soprattutto negli orti dei monasteri. A causa delle eccezionali capacità riproduttive, la Porcellana sfuggì facilmente al controllo dell’uomo e ovunque si inselvatichì, divenendo assai comune e addirittura infestante. Attualmente, la Francia è la maggiore produttrice e consumatrice di diverse varietà orticole.

Reichardia picroidesAsteraceaeCaccialepreGiallepura, Caccialiepura a sud-est e a est; Cacazzina a Tortorici
CaccialepreCaratteri botanici

Pianta erbacea perenne fornita di una radice ingrossata dalla quale, al sopraggiungere dell’inverno, vengono emessi getti formanti una rosetta basale di foglie tenere e carnosette, di colore verde-glauco, con margini spesso purpurei. Dalla rosetta emerge uno scapo, alto fino a 40 cm, che porta capolini cilindrici, piriformi prima della fioritura, costituiti da fiori gialli, gli esterni in genere bruni o venati inferiormente da strie purpuree. La fioritura avviene tutto l’anno, così come le foglie persistono in ogni stagione assumendo, però, un colore più scuro al sopraggiungere dell’estate. I frutti sono acheni di due tipi: gli esterni scuri, solcato-bernoccoluti, gli interni chiari e quasi lisci.

Habitat

Il Caccialepre è diffuso in quasi tutta Italia, dove è comune sui terreni sassosi, incolti aridi, muri e rupi marittime. Non si rinviene oltre i 1000 m di altitudine.

Parti commestibili

Si raccoglie la rosetta basale quando è giovane e verde, prima che la pianta emetta lo scapo fiorale. La rosetta va troncata a livello del terreno con un coltello in modo da non ledere la radice. Il taglio provoca la fuoriuscita di una modesta quantità di latice bianco e dolciastro; questo per contatto annerisce la pelle, ma è innocuo e può essere facilmente rimosso con olio.

Uso alimentare

Le foglie del Caccialepre si consumano crude in insalata oppure lessate e perlopiù mescolate ad altri erbaggi, quali il Crespigno, la Lattuga alata, la Piattolina, ecc. Il Caccialepre è, infatti, particolarmente adatto per preparare le classiche mesticanze (i vidduri maritati o mischigghi). L’erborinatore inesperto può confondere il Caccialepre con altre erbe mangerecce, come il Lattugaccio (Chondrilla juncea L.) o la Lattuga alata (Lactuca viminea (L) Presl), data la somiglianza negli stadi giovanili.

Diffusione

Il Caccialepre è un erbaggio che rientra anche nelle tradizioni fitoalimurgiche di altre regioni d’Italia. In alcune aree ne è stata tentata la coltivazione.

Osservazioni

Sui nomi volgari. Il termine Caccialepre ha etimo incerto, sembra tuttavia (DURO, 1986-93); che esso sia composto da un primo elemento alterato: caccia(re) e la lepre; cioè erba utile come esca per cacciare la lepre. Il sinonimo Caccialebbra non ha nulla a che vedere con la malattia infettiva; è un meridionalismo; infatti in questo contesto linguistico lebbra è il plurale (neutro) di lebbru = lepre.

Rumex scutatusPolygonaceaeRomice scutatoAcitura a Randazzo
Scolymus grandiflorusAsteraceaeCardogna maggioreScolli a Bammuschitta, Spinapruci,  Spinapurci a sud-est e a ovest; Scuoddi a Mistretta
Silene vulgarisCaryophyllaceaeSilene comune, silene rigonfiaCannatella a Randazzo; Ebba priricatura, Erba du pridicaturi, Priricaturi a sud-est
Sisymbrium officinaleBrassicaceaeErba cornacchiaMazzareddri a ovest
Smilax asperaLiliaceaeSalsapariglia nostranaCafaretra a Santo Stefano di Camastra; Ugna ri gattu a sud-est
Sonchus oleraceusAsteraceaeGrespino comuneCardedda
Tamus communisDioscoraceaeTamaroSparacogni, Sparacuogna a sud-est
Tanacetum vulgareAsteraceaeErba amara selvaticaTannavira a Tortorici
Tragopogon porrifoliusAsteraceaeBarba di beccoBarbabecchi a sud-est
Barba di beccoCaratteri botanici

Pianta erbacea biennale, glauca, caratterizzata da una radice a fittone, ingrossata, legnosa, e da uno scapo eretto, alto 60-120 cm, provvisto di foglie lineari, con margine leggermente ondulato e guaina amplessicaule. Durante il secondo anno di vita, tra aprile e giugno, all’apice del fusto si sviluppa, su un peduncolo piuttosto ingrossato, un capolino di ca. 6-7 cm di diametro, costituito da fiori bruno-violacei. I frutti sono acheni forniti di pappi sericei, chiamati in dialetto ‘nanu’, ‘nannu’ o ‘naneddi’.

Habitat Luoghi erbosi per lo più umidi.

Parti commestibili

Si consumano i getti primaverili, formati dal fusto ancora avvolto dalle foglie appressate, che ricordano i turioni dell’Asparago.

Osservazioni

La Tragopogon porrifolius L. var. sativus è un ortaggio conosciuto fin dall’antica Grecia ed attualmente molto diffuso in Francia e in altri paesi dell’Europa occidentale. Il pregio di questa pianta è dato dalla dimensioni della radice che è molto ingrossata e ricorda quella della carota; essa è ricca di zuccheri (inulina, inositolo e mannitolo) che le conferiscono un sapore decisamente dolce. Per il suo colore, biancastro all’esterno e bianco candido all’interno, è volgarmente chiamata Scorzobianca. – Un delicato ombrello. Gli acheni, sormontati da un pappo piumoso a forma di ombrello, a maturità si staccano dal ricettacolo e restano facilmente in aria sostenuti dal vento. Nei Nebrodi, i ragazzi si dilettano a disperdere gli acheni soffiando su di essi; se questi nell’atterrare si depositano sui loro vestiti e vi aderiscono significa che l’anima di un loro vecchio parente defunto è venuta a visitarli. Da questa credenza deriva il nome u nannu dato a questi canuti fiocchetti. Nel Palermitano, invece, i fanciulli ritengono che gli acheni sospinti dal vento vadano nelle case a rubare quattrini; arrobba dinari, infatti, è il nome dato, in quelle località, agli acheni con pappo.

Urospermum dalechampiiAsteraceaeBoccione maggioreCuosti i porci a Mistretta; Cicoina a ovest e al centro
Urtica urensUrticaceeOrtica minoreArtica, artiga in alcune aree
Chritmum maritimumFinocchio marinolungo la costa
Tolpis quadriaristataCompositaeBarbatellaCicoria inversa,
Barbatella, cicoria inversaCaratteri botanici

Pianta erbacea perenne con radice robusta, caratterizzata, in primavera, da una rosetta di foglie basali, ovali – lanceolate, più o meno incise o lobate, pubescenti e di colore verde pallido tendente al bianco. In estate produce un lungo fusto eretto, ramificato in basso, pubescente, alla cui sommità si sviluppano diversi capolini di fiori lunghi fino a 15 mm, di colore giallo-cedrino quelli esterni e nerastri quelli più interni (POLUNIN e HUXLEY, 1968). I frutti sono acheni provvisti di un pappo con 4 setole. Questa entità viene spesso confusa con altre simili fra cui T. virgata Bertol. e T. umbellata Bertoloni. FIORI (1923-29) la ritiene una varietà di T. virgata; PIGNATTI (1982), ravvisando la necessità di una più attenta analisi del gruppo, la considera una sottospecie; a nostro avviso, invece, è da considerare una buona specie, così come proposto dal Bivona.

Habitat

Questa specie è endemica della Sicilia, isole Eolie e Pantelleria, dove cresce negli incolti aridi; sull’Etna, in genere, si rinviene fra le rocce o sui muretti a secco dei coltivi.

Parti commestibili

La rosetta di foglie basali, che va raccolta in inverno, assai prima della fioritura, con l’aiuto di un coltello.

Osservazioni

Pianta ornamentale La Barbatella è considerata anche una pianta ornamentale, adatta a formare bordure nelle aiuole delle ville (TRAVERSO, 1926; BRICKELL, 1990). -Sul nome Barbatella Questo nome volgare è riferito ad altre specie affini, che gli inesperti confondono tra loro, per la presenza nel capolino di brattee involucrali d’aspetto simile a filamenti barbosi. Poiché tale carattere è pure presente in T. quadriaristata si è ritenuto opportuno confermare anche per questa entità il nome volgare Barbatella.

Carlina hispanica Lam.CompositaeCarlinaCarlina, Carlina spagnola.
Carlina spagnolaCaratteri botanici

Pianta erbacea perenne con aspetto di cardo, fornita di un rizoma ingrossato e lignificato. Le foglie sono ovato-lanceolate, dentate e spinose. Il fusto, sparsamente ramificato, è eretto, alto non più di 70 cm e coperto da una peluria ragnatelosa. All’apice dei rami, da luglio ad ottobre, si sviluppano gruppi di capolini. Ciascun capolino, formato da numerosi piccoli fiori tubulari, ha le squame involucrali esterne fogliacee e quelle mediane spinescenti all’apice. Quando sono secche esse hanno un colore giallo-dorato, molto lucente e sono particolarmente pungenti.

Habitat

Si riscontra frequentemente nei luoghi aridi.

Parti commestibili

Di questa pianta si consumano i fusti che vanno raccolti in primavera, quando sono ancora teneri. Questi, mediante un attrezzo tagliente (roncola, falce, forbice), si recidono alla base e in prossimità della porzione apicale, escludendo i rami laterali e i giovani capolini.

Uso alimentare

Una volta raccolti, i fusti, detti in dialetto ‘trunzi’, si mondano dalle foglie, si tagliano in segmenti lunghi 5-8 cm e, con l’aiuto del coltello, si spellano asportando la cuticola piuttosto dura. Si ottengono così dei torsi che vanno sbollentati e conditi con olio ed aceto. Il loro sapore è particolare, ricorda, infatti, quello dei peduncoli dei carciofi e delle nocciole.

Diffusione

Nessun manuale di fitoalimurgia riporta questa specie come pianta alimentare, sebbene sia diffusa in tutta l’Italia centro-meridionale e nelle isole.

Onopordum illyricum L.CompositaeONOPORDO MAGGIORECardo asinino.
Onopordo maggiore o Cardo asininoCaratteri botanici

Imponente pianta erbacea, bienne o perenne, spinosa, simile al Cardo, caratterizzata da foglie basali in rosetta, grandi, pennatosette, e da uno scapo eretto, coperto da una lanugine biancastra, provvisto di foglie profondamente dentate con denti patenti e spinosi. I fiori, di colore roseo, compaiono all’inizio dell’estate in vistosi capolini terminali provvisti di squame involucrali riflesse e spinose. Quando i fusti e le infiorescenze disseccano, ricordano nell’aspetto le lunghe trombe a tubo delle orchestre, donde il nome dialettale di Trummazzi (‘trumma’ = tromba).

Habitat

Cresce dalla zona basale fino a ca. 1200 m di altitudine, tra i ruderi, lungo i bordi di strada, negli incolti e soprattutto presso gli ovili.

Parti commestibili

Di questa spinosissima pianta si raccolgono essenzialmente il cespo di foglie basali ancora giovani e l’infiorescenza immatura. Il cespo basale (a troffa) viene sradicato con una zappetta, privato delle foglie più esterne coriacee lasciando solo quelle più interne alle quali si elimina la porzione distale. Si ottiene così un cespo pronto per una successiva manipolazione. Le infiorescenze (i cacucciuliddi), simili a quelle del Carciofo, si tagliano poco più sotto della base. In alcune località si usa raccogliere per fini alimentari anche la parte tenera dello scapo, vicina all’infiorescenza, così come si fa per i carciofi orticoli.

Uso alimentare

Il cespo dell’Onopordo si lascia avvizzire (ammusciari) per diverse ore, in modo che le spine delle foglie perdano parte della pungolosità, quindi si elimina la lamina lasciando soltanto le carnose nervature mediane (coste). Questa operazione va fatta foglia a foglia, servendosi di un coltello o di un paio di forbici. Infine, si elimina la radice troncandola al colletto. Si ottiene così un torso sormontato dalle coste fogliari, che si cucina nello stesso modo dei “carducci” dei Carciofi coltivati. Le infiorescenze dell’Onopordo, eliminate le foglie del gambo, vengono lessate in abbondante acqua; di esse si consumano le basi tenere e carnose delle squame, analogamente a quanto si fa con i Carciofi coltivati (Cynara cardunculus L. ssp. scolymus (L.) Hayek) e con quelli selvatici (Cynara cardunculus L.), i cosiddetti cacucciuliddi di chiana.

Diffusione

L’Onopordo è segnalato come pianta edule in diversi manuali italiani di fitoalimurgia (SCHÖNFELDEN e SCHÖNFELDEN, 1986, STEVENS, 1993).

Osservazioni

Un test per le nozze Nella località etnea di Milo è antica credenza popolare che le ragazze nubili, in attesa di marito, usassero le infiorescenze dell’Onopordo per conoscere l’imminenza o meno delle proprie nozze. A tale proposito alla vigilia del giorno di S. Giovanni cercavano una di queste piante, ne troncavano un’infiorescenza non pienamente matura e la sotterravano in un luogo segreto. L’indomani, all’alba, dopo averla dissotterrata, la schiacciavano esaminandone attentamente il colore dei fiori. Se questi erano bianchi, il matrimonio era ancora lontano, se invece apparivano colorati era segno che si sarebbero sposate entro l’anno; l’imminenza o meno delle nozze era rapportata all’intensità della tinta.

Specificatamente a Isnello ci sono anche:

Aprocchi di picuraraaprocchi di picurara”, una verdura che fa bene al fegato e che è molto usata dai pastori: consumati anch’essi prima della fioritura, vengono bolliti e, conditi con olio extravergine d’oliva e ricotta fresca, vanno amalgamati alla pasta
casese”, una sorta di finocchio di montagna in miniatura, che si consuma sbollentato e condito con olio e aceto oppure conservato sott’olio e usato come aperitivoCasese
Carduna sarvaggicarduna sarvaggi”. La pianta si consuma pulendo le foglie dalle spine e cucinando solo la nervatura centrale. Come sapore e qualità è superiore al carciofo coltivato (non ha antiparassitari).

Ha proprietà diuretiche, depurative, favorisce il deflusso della bile nell’intestino, diminuisce il tasso di colesterolo nel sangue, aiuta la digestione, svolge un’azione di protezione del fegato.

purretti”, piccoli porri da gustare in pastella sono ricchi di vitamine e di ferro, combattono la stitichezza, svolgendo un’azione antisettica, sia sull’apparato digerente, sia sulle vie urinariePurretti
Cicoria russa“Cicoria russa” che aumenta la secrezione lattea  negli animali e anche nelle mamme che allattano

aumenta la secrezione della bile e il deflusso della stessa nell’intestino; allontana dall’organismo sostanze nocive ed impurità, favorisce la secrezione delle urine. Una curiosità: le radici delle cicorie seccate, tostate e macinate venivano consumate, in sostituzione del caffè. Era noto noto come il “caffè di Prussia”.

Le parti commestibili di una pianta sono diverse: foglie, fusto, germogli, fiori, radici, tuberi e bulbi. Ma di ogni specie si mangiano solo alcune parti, non mangiare le altre.

Si raccolgono le foglie delle piante giovani, appena germogliate oppure di quelle adulte che hanno emesso i nuovi germogli laterali e comunque prima della fioritura. Con l’avanzare della maturità, infatti, la verdura diventa più dura, perde l’originario sapore e diviene amara e poco gradevole.

Nella maggior parte dei casi, però, prevale l’uso di verdure di un solo tipo le quali si preparano lessate o saltate in padella e servite come piatto unico o come condimento di frittate. Un tipico piatto serale, consumato da numerose generazioni di gente dell’Etna, è stato la minestra di verdure con il suo abbondante infuso (u brodu) nel quale inzuppare il pane.

Ecco una serie di ricette che prevedono una verdura selvatica come ingrediente principale:

  • Polpette di verdure selvatiche
  • Polpette di finocchietto selvatico
  • Giri (bietola selvatica) in salsa di pomodoro
  • Sedani al finocchietto selvatico
  • Cataneselle con borragine (pasta chi vurrani)
  • Spaghetti agli asparagi selvatici
  • Lasagne dei campi
  • Schiacciata con caliceddi e salsiccia
  • Spianata di cannatedda (strigoli)

ed ecco le ricette:


POLPETTE DI VERDURE SELVATICHE

Polpette di verdure selvatichePulite 500 g circa di verdure, eliminando eventuali foglie danneggiate o secche, lavatele e poi fatele cuocere a fiamma bassa in una pentola coperta senza aggiungere acqua.

Dopo 10/15 minuti, spegnete, eliminate l’eventuale acqua che si sarà formata e trasferite le verdure su un tagliere. Tritatele a coltello o con la mezzaluna e mettetele in una ciotola.

Aggiungete due uova, un panino raffermo tritato, un cucchiaio di pecorino grattugiato, due cucchiai di grana grattugiato, il pepe e il prezzemolo.

Salate leggermente e impastate bene il tutto. Se l’impasto risultasse troppo molle, aggiungete un pò di pangrattato.

Formate le polpette e friggetele in abbondante olio caldo, girandole man mano da entrambi i lati. Adagiatele su carta da cucina per far assorbire l’olio in eccesso.


POLPETTE DI FINOCCHIETTO SELVATICO

Polpette di finocchietto selvaticoLavate 150 grammi di finocchietto selvatico, fatelo a pezzi e bollitelo in acqua bollente salata.

Mettetelo a scolare dentro uno scolapasta.

In una ciotola mettete 150 grammi di finocchietto bollito ulteriormente tagliuzzato (mi raccomando,non frullato ma soltanto tagliato con il coltello), due uova, 30 grammi di pangrattato, 30 grammi di pecorino grattugiato, uno spicchio d’aglio tritatissimo, una piccola manciata di pinoli e 25 grammi di uvetta precedentemente ammollata in acqua tiepida.

Aggiungete un pizzico di sale ed uno di pepe; amalgamare il tutto.

L’impasto deve risultare morbido per cui sconsiglio vivamente l’aggiunta di altro pangrattato.

Preparate delle polpette di forma allungata e friggerle in padella con olio caldo.

 


GIRI (BIETOLA SELVATICA) IN SALSA DI POMODORO

Giri (bietola selvatica) in salsa di pomodoroPer questa preparazione solitamente è di norma usata la polpa di pomodoro, ma si può usare il concentrato di pomodoro, che rende il sapore molto più ricco.

Lessare un kg di bietole selvatiche, privarle dell’acqua in eccesso.

In un tegame dorate un paio di spicchi di aglio in olio extravergine, aggiungete pezzetti di peperoncino e 40 grammi di concentrato di pomodoro, mescolate per qualche minuto.

Unite la verdura lessata, riducendo prima la lunghezza delle foglie, e amalgamate bene aggiungendo se necessario un mestolo della sua acqua di cottura.

Lasciate a stufare per alcuni minuti e infine a fuoco spento cospargete con pecorino grattugiato.


SEDANI AL FINOCCHIETTO SELVATICO

Sedani al finocchietto selvaticoE’una pianta erbacea mediterranea ombrellifera, conosciuta fin dall’antichità per le sue proprietà aromatiche, la sua coltivazione orticola. La raccolta del fiore del finocchio selvatico avviene appena il fiore è “aperto”, normalmente a partire dalla metà d’agosto fino a settembre inoltrato.

Il fiore si può usare fresco o si può essiccare, all’aperto, alla luce, ma lontano dai raggi diretti del sole, che farebbero evaporare gli oli essenziali.

In cucina si possono usare tutte le parti del finocchio. Il grumolo bianco (erroneamente ritenuto un bulbo) del finocchio coltivato si può mangiare crudo nelle insalate oppure lessato e gratinato e si può aggiungere agli stufati.

Non serve un mazzo abbondante di finocchietto perchè ha un sapore forte e scottandolo nell’acqua per la pasta anche la pasta assorbirà l’aroma.

Ingredienti (per 4 persone):

Eliminate la parte più dura del finocchietto e fatelo cuocere per 4 minuti nell’acqua in cui si verserà la pasta. Dopo il tempo prestabilito toglierlo dalla pentola e buttate la pasta.

Affettate il finocchietto in modo sottile e delle olive grossolanamente.

In una padella saltate il finocchietto, le olive e dei pinoli, fino a quando questi ultimi saranno coloriti e stando attenti a non bruciare le olive. Pepate a piacere.

Nel frattempo in un altro padellino dorate un pugno di pangrattato con un cucchiaio di lievito.

Una volta scolata la pasta aggiungete il condimento e il pangrattato, mescolate e impiattate.


CATANESELLE CON BORRAGINE (PASTA CHI VURRANI)

Cataneselle con borragine (Pasta chi vurrani)In una pentola con due cucchiai d’olio soffriggete 2 spicchi d’aglio tritato, aggiungete 250 grammi pomodori pelati a pezzettoni e aggiustate con sale e poco zucchero.

A questo punto allungate con acqua e sale, tenendo presente che con questo liquido dovremo cuocere i vurrani e poi la pasta, quindi se si preferisce una minestra piuttosto brodosa aggiungere più acqua.

Tagliate le foglie di vurrani a pezzetti e aggiungetele all’acqua.

Non appena la pasta sarà cotta, e subito prima di mettere nei piatti, unite 150 grammi di caciocavallo semistagionato tagliato a cubetti.

Completate, servendo la minestra calda, con un filo d’olio a crudo.


SPAGHETTI AGLI ASPARAGI SELVATICI

Spaghetti agli asparagi selvaticiPulite gli asparagi, facendoli a pezzetti dalla cima verso il basso e fermandosi quando il busto diventa duro.

A quel punto ciò che resta dell’asparago –ovvero la parte più legnosa– si getta.

Nel frattempo fate soffriggere dell’aglio con dell’olio di oliva e quindi fateci cuocere gli asparagi per 5 minuti; aggiungendo poi un poco di pomodoro fresco a pezzetti, cuocendo il tutto per altri 3-4 minuti e salando.

Una volta cotti, mantecate gli spaghetti al dente, con del parmigiano o del pecorino.


LASAGNE DEI CAMPI

Lasagne dei campiPulite, sbollentate e tritate a coltello un pugno di ortiche e pugno di tarassaco e lessateli

Pulite un pugno di asparagi selvatici, tagliandoli a tocchetti e un pugno di biete selvatiche e fatele saltare in padella con uno scalogno tritato e due cucchiai di olio extra vergine di oliva. Aggiungete un buon mestolo di acqua bollente o brodo vegetale se ne avete e fate stufar le erbette. Una volta pronte unite quelle già lessate.

Preparate una besciamella, con 400 grammi di latte, senza usare il burro e aggiungendo alla fine la noce moscata.

In una ciotola unire le erbette tritate, la besciamella, 150 grammi di crescenza, 70 grammi di scamorza affumicata e tagliata a tocchettini, e, se volete, 250 grammi di prosciutto cotto tritato finemente e mescolate bene.

Imburrate od oliate appena il fondo di una teglia ed iniziate a formar gli strati della lasagna con un foglio di pasta fresca ed uno strato del mix di erbette, così via fino ad esaurire gli ingredienti e terminando comunque con un strato di erbette.

Grattuggiatevi sopra a scagliette del buon pecorino romano ed infornate in forno caldo a 200ºC per circa mezz’ora avendo cura di far gratinare ben la parte superiore delle lasagne.


SCHIACCIATA CON CALICEDDI E SALSICCIA

Schiacciata con caliceddi e salsiccia Schiacciata con caliceddi e salsiccia

Prima di tutto togliete la tuma (700 grammi circa) dal frigorifero, tagliatela a fettine e lasciatela a temperatura ambiente per almeno 2-3 ore (io la lascio tutta la notte a temperatura ambiente).

Preparate l’impasto: sbriciolate 20 grammi di lievito in una ciotola e diluitelo con 50 ml di acqua tiepida. Unite 15 grammi di zucchero e un po’di farina 00 per ottenere un impasto fluido e omogeneo. Coprite la ciotola e lasciate riposare il composto per circa 40 minuti. Otterrete un composto schiumoso.

Mettete in una ciotola 150 grammi di farina 00 e 300 grammi di semola rimacinata, fate la fontana, mettete al centro 25 grammi di strutto, il composto lievitato e circa 200 ml di acqua tiepida. Amalgamate bene, poi aggiungete 12 grammi di sale e impastate per qualche minuto dentro la ciotola, poi versate il tutto sulla spianatoia infarinata e impastate energicamente, fino a ottenere una pasta elastica. Formate una palla, mettetela in una ciotola capiente unta d’olio, copritela, mettetela in un luogo al riparo da correnti d’aria (per esempio dentro il forno spento e con la luce accesa) e fatela lievitare per un’ora o più, fino a quando si sarà raddoppiata di volume.

Nel frattempo, pulite i caliceddi, togliendo le foglie più dure e danneggiate.

Lavateli molto bene e metteteli a sgocciolare.

Portate ad ebollizione una pentola con acqua salata. Quando l’acqua avrà raggiunto il bollore versatevi i caliceddi e lasciateli cuocere per circa 3 minuti dal momento in cui l’acqua avrà ripreso il bollore, poi scolateli in uno scolapasta.

Tagliate 400 grammi di salsiccia a rondelle (con una forbice) e fatela rosolare per alcuni minuti in una padella antiaderente; sfumate con mezzo bicchiere di vino bianco e lasciate cuocere per una decina di minuti, rigirando spesso. Togliete la salsiccia dalla padella e tenetela da parte.

Tagliate due spicchi di aglio a fettine e fatele dorare in una padella con un filo d’olio extravergine d’oliva. Aggiungete i caliceddi e lasciateli soffriggere per circa 2 minuti rigirandoli spesso con un cucchiaio di legno. Ora aggiungete la salsiccia, un pizzico di pepe e lasciate insaporire il tutto per 1 – 2 minuti. Mettete il composto di caliceddi e salsiccia in uno scolapasta, in modo che perdano il liquido in eccesso.

Ungete con l’olio la placca del forno.

Quando l’impasto è pronto, versatelo sul piano da lavoro infarinato e dividetelo a metà. Con il mattarello stendete una delle due parti di impasto, dandogli la forma quadrata e ponetela nella placca che avete preparato.

Coprite la sfoglia con uno strato di tuma (lasciando libero qualche centimetro di bordo). Fate adesso uno strato con il composto di caliceddi e salsiccia e poi di nuovo la tuma.

Stendete l’impasto che vi è rimasto in una sfoglia sottile e adagiatela sulla schiacciata. Sigillate bene i bordi della schiacciata, fate un taglietto al centro, oppure punzecchiate la superficie con i rebbi di una forchetta o con la punta di un coltello. Coprite con un panno pulito e un plaid e lasciate lievitare per circa 30-40 minuti.

Nel frattempo accendete il forno a 200° statico o 180° ventilato.

Infornate la schiacciata nel forno preriscaldato e cuocete per circa 40 minuti.

Sfornate, spennellate con l’olio extravergine di oliva tutta la superficie, coprite con un panno e lasciate riposare per circa 15 minuti prima di servirla.


SPIANATA DI CANNATEDDA (STRIGOLI)

Spianata di cannatedda o strigoliLavate 200 grammi di verdura, mettetela in una pentola, coprite, far cuocere a fuoco basso per circa 10 minuti; quindi scolatela e mettetela in una ciotola, aggiungendo due uova, un cucchiaio di paprika e ciuffo di prezzemolo tritato. Tritate nel mixer due panini raffermi e 2 fette di prosciutto, e uniteli al resto. Regolate di sale e impastate bene tutti gli ingredienti.

Quindi, mettete della carta da forno in una teglia, in quantità tale da potere richiuderla sopra e stendeteci l’impasto.

Disponete sopra delle fette di vastedda del Belice (o altro formaggio morbido) e delle fette di prosciutto cotto.

Aggiungete un filo d’olio e chiudete a caramella la carta forno. Infornate in forno preriscaldato a 180°C per circa mezz’ora.

Servite tiepida o fredda.