Menù della festa dei Santi e dei Morti (1 novembre)
The Forerunners of Christ with Saints and Martyrs (about 1423-24) Tempera on wood, 31,9 x 63,5 cm cm National Gallery, London
Menù della festa dei Santi e dei Morti (1 novembre)
Fin dall’antichità il culto dei morti è stato praticato da ogni popolazione, in maniera più o meno differente: i greci, nel giorno del compleanno del defunto, portavano sulla sua tomba corone di fiori, zuppe di pane e vino, pagnotte con alici e formaggio e dolci a base di miele, che poi mangiavano , come se stessero ancora in sua compagnia.
Il rito trasmesso in occidente dai bizantini, divenne sempre più eccessivamente consolatorio, fino a divenire anche orgiastico, a tal punto da essere proibito dalla Chiesa.
La Festa dei Morti fu poi istituita nel 998 da Odilo, abate di Cluny, a coadiuvo della ben più antica festa di Ognissanti dell’1 Novembre, istituita dal Papa Gregorio II nel 853.
Secondo la credenza popolare, nella notte tra l’1 e il 2 novembre le anime dei defunti tornano dall’aldilà, con un lungo e faticoso viaggio, per cui vengono imbandite tavole a cui i propri defunti trovano ristoro, ed anche per renderli benevoli verso i giorni a venire.
Presso le comunità albanesi, presenti anche in Sicilia, si usa andare al cimitero di sera e lì allestire un banchetto sulla tomba dei propri cari ed invitare tutti i passanti a prendere parte.
I dolci dei morti simboleggiano i doni che i defunti portano dal cielo e contemporaneamente l’offerta di ristoro dei vivi per il loro viaggio. Un modo per esorcizzare la paura dell’ignoto e della morte.
Oggi lo stato d’animo con cui ci si approccia ancora oggi alla Festa dei Morti è quello della commemorazione in onore di chi non c’è più e che ci ha lasciato un indelebile segno.
Ricordo che, da bambino nel periodo che va dal 31 ottobre al 4 novembre, non si andava a scuola, poichè per la ricorrenza detta di “Ognissanti” (ovvero i Santi), che cade il primo novembre, seguiva quella dedicata alla “Commemorazione dei Defunti”, i “Morti” appunto, il 2 novembre, per andare tutti e due i giorni a visitare tutte le tombe dei nostri cari defunti: mia nonna Maria D’Angelo, mia bisnonna Sebastiana Lo Giudice, morte ambedue quando io avevo circa due anni e poi altri bisnonni morti prima della mia nascita Gaetano D’Angelo e sua moglie Rosaria Carpanzano, Angelo grillo e sua moglie Angela Di Franco, Isidoro Gangemi (il marito di Sebastiana). Non mancavano poi le visite ad altri parenti genealogicamente più distanti ed alla “solca dei Sindaci”, che nel nostro cimitero monumentale di Francavilla di Sicilia, è quella posta nella parte più alta, in contiguità con il monastero dei frati cappuccini: li si faceva visita all’ossuario.
Il giorno dei Santi i bambini comunicavano i loro desideri ai defunti, con la speranza (che era come una certezza) che l’indomani avrebbero avuto esaudita ogni desiderio: macchinine, biciclette, bambolotti, cavalli a dondolo, ecc.
Il giorno dopo si riandava al cimitero per ringraziare i carissimi e munifici defunti.
Scriveva Giovanni Verga in La Festa dei morti (1887) : […] le mamme vanno in punta di piedi a mettere dolci e giocattoli nelle piccole scarpe dei loro bimbi, e questi sognano lunghe file di fantasmi bianchi carichi di regali lucenti, e le ragazze provano sorridendo dinanzi allo specchio gli orecchini o lo spillone che il fidanzato ha mandato in dono per i morti […]
I bambini siciliani tutt’oggi, sentono questa festività in modo particolare, poiché ricevono ancora i regali.
In tante regioni d’Italia, ma non in Sicilia, i bambini effettuavano anche la “questua”: in Sardegna, prima di cena, andavano a bussare alle porte delle case dicendo “Morti, morti” e ne ricevevano dolci, frutta secca e qualche volta anche denaro; in Abruzzo, invece erano i bambini più grandicelli a bussare alle porte delle case chiedendo offerte per le anime dei morti e ricevevano dolci e frutta fresca e secca; in Emilia Romagna la questua veniva fatta dai poveri, che bussavano alle porte chiedendo la carità per i morti e ricevendone cibo; in Puglia ragazzi e contadini bussavano alle case cantando una sorta di serenata alla ricerca dell’”aneme de muerte” (l’anima dei morti) e venivano fatti entrare in casa e rifocillati con vino, castagne e taralli.
Non vi sembra di ricordare qualcosa? (Dolcetto scherzetto, ecc. ecc.)
Quindi la cena che si prepara la sera dei “Santi”, nonché vigilia dei “Morti”, tende a stabilire una atmosfera di attesa verso qualcosa di buono, come lo erano i cari defunti, che dovrà venire. Il grano, essendo il simbolo della vita e della fertilità, in quanto dopo che la spiga di grano viene recisa – uccisa – il chicco morto a sua volta rinascerà da sottoterra in una nuova spiga, risulta essere alla base del principale piatto che si preparava in Sicilia. Ma sono i dolci a farla da padrone: ossa di morto, frutta martorana e “pupi di zuccaro”, detti anche Pupaccena: questi ultimi sono delle statuette cave realizzate in zucchero indurite e dipinte con colori leggeri con figure tradizionali: Paladini, ballerini ed altri personaggi del mondo infantile.
Ma sull’origine di queste statue di zucchero si raccontano diverse storie: c’è chi dice che vengono chiamati pupi a cena o pupaccena, poichè una leggenda narra di un nobile moro caduto in miseria, che li offrì ai suoi ospiti per sopperire alla mancanza di cibo prelibato.
L’altra risale al 1574 quando a Venezia, per rendere omaggio ad Enrico III, figlio di Caterina dè Medici, in visita alla città, fu organizzata una cena, resa spettacolare da queste sculture di zucchero, realizzate dai marinai palermitani che avevano trasportato lo zucchero e da qui il nome pupa a cena.
Quindi, se volessimo immaginare un menù tipico della Festa dei Morti, potrebbe essere così composto:
• Pani cunzatu
• Scurria (una zuppa di cereali)
• Ossa di morto
• Frutta Martorana
Pani cunzatu
Sfornate il pane in pezzi da un quarto di chilo .
Tagliate ogni pezzo nel senso della larghezza, in modo da ottenere due pezzi della stessa grandezza e di metà spessore.
Prendete il mezzo pezzo di sotto, e condite il lato della mollica, olio extravergine di oliva (meglio se appena spremuto a seguito di una raccolta precoce delle olive), sale e pepe.
Ripetete l’operazione con l’altro mezzo pezzo di pane.
Riunite le due metà del pezzo di pane, ricomponendone l’unità, e comprimetele fra di loro.
Quindi mettete fra i due mezzi pezzi di pane qualche fettina di tuma e qualche acciuga salate (ma ben dissalata con acqua abbondante).
E’ pronto (più difficile a dirsi che a farsi).
Scurria (una zuppa di cereali)
E’ un piatto tipico di Motta Camastra.
Prendete grano, orzo, fagioli secchi, ceci secchi, lenticchie, piselli secchi e metteteli a bagno per una periodo proporzionale alla loro consistenza (da qualche ora ad una notte).
In un tegame, fate un soffritto di cipolla e, dopo avere scolato dall’acqua i legumi, gettateli nel tegame col soffritto ed aggiungete altra acqua fresca, considerando che la cottura durerà circa tre ore e che non si potrà aggiungere più altra acqua.
Cuocete il tutto a fuoco basso ed a cottura ultimata, condite con olio extravergine di oliva.
Ossa di morto
Portate a bollore 300 grammi di acqua, spegnete la fiamma e metteteci dentro 1,2 kg di zucchero, mescolando bene con un cucchiaio.
Impastate questo liquido con un kg di farina tipo “00” insieme ad un cucchiaino di cannella in polvere e a mezzo.
Sul piano di lavoro infarinato formate un filoncino e tagliate dei rombi a tocchetti di circa 3 cm.
Decorare ogni tocchetto imprimendo la forma di una forchetta.
Posizionarli su un vassoio coperto da carta forno e far asciugare al sole per almeno 3 giorni coprendo con del velo senza mai girarli.
Infornare a 180° su carta forno, distanziando bene tra loro, fin quando vedrete uscire dalla base del biscotto lo zucchero sciolto che tenderà a caramellarsi. Durante la cottura lo zucchero tende a sciogliersi e trova come unica via di fuga la base del biscotto lasciando questo scheletro di farina praticamente intatto.
Il biscotto in definitiva è composto da un guscio bianco vuoto fortemente aromatizzato alla cannella posto su una base caramellata molto dura. L’insieme risulta davvero piacevole al palato.
Frutta Martorana
Versate in una terrina 100 grammi di farina di mandorle, 100 grammi di zucchero a velo, un albume d’uovo.
Mescolate il tutto, fino a far amalgamare tutti gli ingredienti e poi lavorate l’impasto con le mani, per ottenere un composto omogeneo.
Riponete l’impasto su un piano rigido, sul quale avete disteso dello zucchero e velo. Continuate a lavorare il composto, in modo che diventi il più elastico possibile.
Infine create delle forme particolari in base alle vostre preferenze.
Con dei coloranti naturali completate con la decorazione a colori delle vostre creazioni.